Desensibilizzazione tecnologica alla violenza

Ptsd_soldiers
L’interessante presentazione di Brenda Wiederhold di cui ho parlato nel post di ieri si e’ conclusa con l’illustrazione dei risultati  della sua ricerca piu’ recente, che mi hanno suscitato delle riflessioni inquietanti.

Da quando e’ iniziata la guerra in Iraq, l’autrice e’ stata finanziata dal Pentagono per utilizzare le sue tecniche di cura mediante realta’ virtuale sui quei soldati che ritornano dal fronte malati di PSTD (stress post-traumatico), una forma di disagio mentale successiva ad un’esperienza traumatizzante, che causa depressione, ansia e varie alterazioni del comportamento (v. ad esempio questo pezzo del Psychiatric Times che annunciava i primi risultati del progetto).

La desensibilizzazione verso l’esperienza traumatizzante subita dai soldati, mediante la sua ricostruzione in realta’ virtuale e l’esposizione progressiva sta dando buoni risultati. Fin qui tutto bene: l’obbiettivo e’ quello di usare la tecnologia per curare delle persone mentalmente sofferenti. Poi pero’, strada facendo, ai ricercatori coinvolti e’ venuta la seguente idea: se con la realta’ virtuale ed i videogiochi riusciamo a desensibilizzare le persone rispetto agli orrori che hanno vissuto in guerra nel passato, perche’ non usiamo le stesse tecniche per desensibilizzare chi deve partire per la guerra rispetto agli orrori che vedra’ nel suo prossimo futuro? E si sono inventati un’apposita parola chiave: stress inoculation. L’idea e’ di  "vaccinarsi" rispetto allo stress: esponendomi ripetutamente a situazioni terribili in realta’ virtuale, diventero’ immune alle emozioni negative di quelle situazioni quando le vivro’ realmente. Nel sistema utilizzato, sensori fisiologici misurano come il corpo dell’utente reagisce all’esperienza virtuale, in modo da verificare oggettivamente che l’esposizione progressiva lo sta abituando alle situazioni spaventose simulate.

Oltre ad essere l’ennesimo esempio di come le nuove tecnologie siano eticamente neutre e possano essere usate per scopi diametralmente opposti, questo nuovo uso della realta’ virtuale meriterebbe un dibattito che non sia puramente tecnico. Se queste tecnologie che desensibilizzano l’utente, facendolo rimanere freddo e calcolatore di fronte ad esperienze terribili, sono destinate a diffondersi, quali devono essere le regole entro cui ne viene disciplinato l’uso? Verso che  tipo di violenze ed orrori e’ lecito desensibilizzarsi? A chi puo’ essere permesso di assumere la "vaccinazione contro l’orrore"? Cosa succederebbe se ne facessimo uso tutti?

Un altro tipo di considerazione riguarda poi le simulazioni di orrore che sono gia’ presenti su tutti i PC domestici, sotto forma di videogiochi dove per procedere e vincere bisogna uccidere, squartare e massacrare. Questi recenti sviluppi sulla desensibilizzazione rispetto al campo di battaglia iracheno, sembrano portare acqua al mulino di quegli psicologi che sostengono la pericolosita’ dei videogiochi violenti. In altre parole, se vivere virtualmente l’esperienza della guerra prima di partire per l’Iraq rende poi emotivamente piu’ tranquilla ed accettabile l’esperienza che l’utente vivra’ li’, perche’ mai il compiere ripetutamente delle violenze virtuali in un videogioco domestico non dovrebbe rendere emotivamente piu’ tranquilla ed accettabile l’esperienza della violenza reale?