Comportamenti automatici dell’utente: a volte spontanei, a volte indotti

Commentando il mio pezzo precedente su Information Overload e
comportamenti automatici
, Sergio mi pone la domanda:

E se invece di "comportamenti automatici", in alcuni casi si parlasse di "comportamenti indotti"?

 dandomi l'opportunita' di estendere il discorso sui nostri automatismi (la cui attivazione puo' essere sia spontanea che indotta).

L'aggettivo "automatico" fa riferimento a quello
che succede "dentro la testa" dell'utente e si contrappone
all'aggettivo "controllato". 
Ad esempio, le prime volte che guidiamo un'automobile, il nostro
comportamento e' altamente "controllato": dedichiamo tutte le nostre
risorse cognitive ad analizzare attentamente il flusso di eventi ed
informazioni che proviene dalla strada e dal cruscotto, ragioniamo su cosa
dobbiamo fare con le mani, cosa con i piedi, quando lo dobbiamo fare e come lo
dobbiamo fare. Ma dopo un certo numero di ore alla guida, il comportamento di
mani e piedi diventa progressivamente "automatico":  scattano da soli senza che ci riflettiamo su.

Capire se un comportamento automatico e' "indotto" (aggettivo a
cui si contrappone “spontaneo”), comporta chiedersi chi o che cosa l'ha fatto scattare ?

Quando Mario si mette alla guida e desidera andare a casa di un suo amico, il suo desiderio fa spontaneamente partire l'automatismo che muovera' le sue mani e piedi durante il tragitto. E
questo e' un esempio di comportamento automatico in positivo: se non
sviluppassimo tale automatismo, guidare l'auto sarebbe sempre un compito
altamente stressante ed impegnativo, che ci caricherebbe cognitivamente come se fossimo alla prima lezione di
scuola guida.

Ma immaginiamo che Mario debba acquistare entro poche
ore una videocamera digitale (che gli e' stata chiesta in regalo da
una persona a cui tiene molto). Mario non sa assolutamente nulla di videocamere digitali ed entra in un negozio dove trova due commessi. Il
commesso numero 1 inizia a parlargli velocissimo, lo sommerge di decine di
strane parole tecniche, nomi di marche e prodotti mai sentiti, gli da’ in mano
da guardare una macchina dietro l’altra e gli indica vari bottoni e display,
menzionando confronti di prestazioni al terzo numero decimale, con l'aria di
dire delle cose scontate di cui tutto il mondo e’ perfettamente a conoscenza.
Dopo un quarto d'ora che cerca di seguire questo flusso di dati e
stimoli, Mario e' diventato rosso in viso, gli e' aumentata la frequenza cardiaca e
gli si e’ accorciato il respiro. A quel punto, interviene il commesso numero 2
che con un sorriso ed una voce cordiale dice a Mario: "Guardi, forse lo
dico contro il mio interesse, ma io comprerei la TALDEITALI: ne parlano bene
tutte le riviste ed e' la piu’ richiesta dalla clientela. Pensi che ce ne sono
arrivate 10 stamattina ed ora ce n'e' rimasta una sola disponibile!"
Diciamo che c'e' un'altissima probabilita' che Mario esca con la sua TALDEITALI
in pacco regalo (mentre i due commessi si stringono la mano sorridenti per aver smaltito
un fondo di magazzino).

Cos’e’ accaduto in questo caso?  Il malcapitato utente e’ stato dapprima messo in una situazione
di crescente sovraccarico informativo e quando ha avuto la sensazione di stare per affogare,
gli e’ stato lanciato il "provvidenziale" salvagente dell’automatismo “quelli attorno a me si comportano cosi', quindi va bene se mi comporto cosi'". In questo caso direi proprio che il
comportamento di Mario, oltre ad essere automatico, e’ stato indotto dai due
sapienti commessi, che non hanno avuto bisogno di Internet per sfruttare l’Information
Overload all’interno di una loro strategia di manipolazione. E
questo e’ un’esempio di comportamento automatico in negativo, dove l’automatismo
agisce contro il nostro interesse.

Spostandoci dalla vendita in negozio al mondo di Internet e dei media, fa bene Luca De Biase a mettere in guardia dai mezzi
di confusione di massa
,  che 
possono agire in modi non dissimili dai miei due immaginari commessi furbetti, al fine di abbassare le
barriere critiche dell’utente per poi lanciargli delle "provvidenziali" soluzioni alla confusione.

© 2009 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore.

  • Sergio |

    Sul come indurre “decisioni”, l’esempio del Professor Chittaro è illuminante, anche se, a mio parere, è sbilanciato sulla “declarative knowledge”.
    Per chi ne volesse sapere di più, mi permetto di suggerire una ricerca su Google con le parole chiave “procedural VS declarative knowledge”, ovvero sia quei due tipi di conoscenza che distinguono tra il “saper fare un nodo” (procedurale) ed il “saper descrivere come fare un nodo” (dichiarativa).
    In effetti, l’induzione di determinati comportamenti gioca molto sulla fiducia che molti utenti ripongono nella propria capacità di “descrivere” (e descriversi) un determinato problema senza l’appoggio esperienziale legato ad una conoscenza più di tipo pratico, o procedurale.
    Chi ha fatto tanti anni di arti marziali, è probabile che abbia interiorizzato una serie di “mosse” che in un combattimento risulterebbero vincenti proprio perchè la loro efficacia “operativa” risulta imprevedibile e controintuitiva rispetto ad un’analisi puramente “teorica” sul come quel combattimento andrebbe affrontato.
    In più, si aggiunga che il fattore “sorpresa” in una situazione di stress (per esempio, una lite per strada) non aiuta il povero utente “decisore” a saper dare il giusto peso a quanto possa in effetti giovare un determinato comportamento “teoricamente” valutato (per esempio, la butto sulla forza perchè il mio avversario mi appare meno prestante) invece di valutare altri scenari (la fuga, l’uso della velocità, l’ipotesi di usare uno strumento contundente) che hanno una loro radice più esperienziale.

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