Perche’ perdiamo amici nei social network: due studi su Twitter

Twitter logo Finora la ricerca scientifica sull’amicizia nei social network si era soprattutto concentrata sui fattori che spingono a chiedere tale amicizia (v. diversi studi a questo link).  Ma ora la comunità dell’interazione uomo-macchina inizia ad affrontare anche il comportamento opposto: cosa spinge a togliere l’amicizia ad altri utenti (friendship dissolution) ?  Perché vediamo fuggire delle persone dalla nostra lista di amici ?

Per una fortunata coincidenza, sono stati svolti due studi indipendenti sul tema, entrambi focalizzati su Twitter (nel gergo di quel network, togliere un utente dalla propria lista viene brevemente detto “unfollow”).  Altro fatto interessante è che i due studi si sono svolti in contesti culturali estremamente diversi: il primo in Corea del Sud, eseguito dal centro di ricerca KAIST; il secondo negli USA, portato avanti dalla Rutgers University. In particolare, lo studio coreano ha monitorato le pagine di 1'200'000 utenti Twitter quotidianamente per un periodo di 51 giorni, mentre il più limitato studio americano ha analizzato i “follow” di 245'586 utenti Twitter in due giorni diversi (a distanza di 9 mesi uno dall’altro).

Sintetizzo nel seguito i principali risultati:

L’unfollow è un comportamento molto comune. Durante i 51 giorni dello studio coreano, il 30% degli utenti studiati ha eliminato almeno una delle persone seguite. Estendendo l’arco di tempo la percentuale sarebbe ovviamente destinata a salire ulteriormente. Fra gli utenti che hanno eseguito unfollow, il numero di eliminazioni è proporzionale al numero complessivo di persone seguite (questi utenti hanno eliminato in media il 9% delle persone seguite).

L’interazione fra utenti è rara ma cruciale. Come già evidenziato da studi eseguiti su Facebook, anche in Twitter gli utenti interagiscono con un numero estremamente limitato delle persone nel proprio network. La stragrande maggioranza (85,6%) delle relazioni di follow durante il periodo dei 51 giorni studiato dai coreani è stata totalmente passiva (nessun invio di reply, nessuna menzione, nessun retweet fra la coppia di utenti), il 10,7% ha manifestato un numero di interazioni minore o uguale a 3 e soltanto lo 0,7% degli utenti ha interagito più di 3 volte. Andando a studiare le coppie di utenti che hanno interagito, emerge un legame fra la frequenza di interazione e la rottura delle relazioni: quest’ultima è meno probabile fra gli utenti che interagiscono di più.

La reciprocità è fondamentale. Avevo già parlato della regola di reciprocità sui social network. Il comportamento degli utenti Twitter (sia nello studio americano che in quello coreano) fornisce un’ulteriore prova di quanto essa sia fondamentale. In particolare, andando a studiare ogni singola relazione che si è rotta, i ricercatori coreani hanno quantificato che la probabilità che la relazione on-line finisca raddoppia quando l’interazione fra utenti è unidirezionale (cioè uno dei due utenti risponde, menziona o “re-tweetta” l’altro, ma quest’ultimo non contraccambia mai). E dopo che uno dei due utenti ha tolto il proprio follow, la probabilità che l’altro faccia lo stesso è ancora più alta (ulteriore conferma della regola di reciprocità, nella sua versione negativa).

Se ti “re-tweetto”, non ti cancello. Lo studio coreano ha trovato che il numero di “re-tweet” e di “favourite” che si riceve è un predittore del mantenimento della relazione.  E con un’analisi più dettagliata ha evidenziato che i re-tweet sono più importanti dei favourite nel mantenere il legame.

Se seguiamo le stesse persone, rimaniamo assieme. Andando a studiare il numero di utenti seguiti in comune fra coppie di utenti, sia lo studio americano che il coreano suggeriscono che più grande è tale numero, meno è probabile che il legame della coppia si rompa.

Oltre ai grossi studi quantitativi sopra riportati, il team coreano ha condotto anche delle interviste faccia a faccia con un piccolo campione di utenti (22) chiedendo loro quali siano i principali motivi che li spingono a fare un unfollow: il motivo più gettonato (20 su 22) è stato il “burst tweet”, cioè il comportamento di quegli utenti che a volte generano un numero enorme di tweet in un breve lasso di tempo. Abbastanza ovvio che il “burst tweet” sia sgradito quando riguarda argomenti poco interessanti o dettagli irrilevanti della vita quotidiana dell’utente. Più sorprendente il fatto che il “burst tweet” venga considerato sgradito anche quando riguarda un argomento interessante: gli utenti del campione hanno motivato questa apparente contraddizione dicendo che tale “burst tweet” li fa sentire “sopraffatti”. Anche su Twitter, come già su Facebook, l’information overload fa quindi sentire i suoi negativi influssi.

© 2011 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore  

 

  • LucaChittaro |

    @Paolo: nei vari studi condotti vengono adottati diversi approcci. In precedenti post avevo parlato di ricerche svolte direttamente dai social network, che usano i propri log a fini statistici (quando ti registri di soliti acconsenti a tale uso nel contratto). In altri casi, quando i ricercatori non hanno rapporti con il social network, prelevano le informazioni presenti su pagine pubbliche e le anonimizzano.
    In generale quello delle norme etiche da rispettare nel condurre ricerche su Internet e’ diventato un tema di ricerca a se’, con opinioni contrastanti. Se hai voglia di leggere qualcosa in merito, puoi ad esempio guardare questi articoli:
    http://ijire.net/issues.html

  • Paolo |

    Ciao Luca
    Ancora una volta mi sembra che questi studi avvallino l’impressione che la dinamica delle relazioni su social network sia alla fine decisamente simile a quelle reali…
    Ma lasciami fare una domanda forse ingenua: questi studi si fanno chiedendo il consenso di accedere ai dati delle persone interessate? Immagino e SPERO di si’, ma sembra comunque improbabile lo si chieda a TUTTE le persone coinvolte. Ad esempio quando si menziona il numero di amicizie comuni ad una coppia di utenti in relazione, si segnala a tutti gli interessati il fatto di essere in contatto, osservato o amico di qualcuno magari anche ammettendo che questo abbia dato il consenso di essere osservato (LUI)?
    A parer mio i dubbi piu’ preoccupanti sulla privacy dei social network vengono proprio da chi puo’ compiere tali ‘studi’ senza preoccuparsene troppo…
    Saluti

  • Kalamin |

    Ora mi è chiaro (ho anche verificato sul paper originale che è come dice lei, cioè che anche loro parlano di ovvietà). My fault. Trovo però un po’ bizzarro riportare un dato non normalizzato per giustificare la pervasività della pratica di unfollow (perché molto dipende dalla finestra temporale considerata) e, al contempo, non dire con che funzione la percentuale in oggetto è cresciuta (per capire come essa cresce con il passare del tempo, se stava saturando, etc.).
    Però il fatto che scartando i non attivi i coreani ottengano una percentuale del 43% di utenti fa pensare che circa un utente su due fa l’unfollow. Grazie per la precisazione.

  • LucaChittaro |

    @Kalamin: il team coreano ha monitorato da un giorno di inizio (chiamiamolo I), per una durata di 51 giorni (quindi fino ad I+51). In questo arco di tempo, il 30% degli utenti hanno cancellato almeno una relazione. Quello che intendevo dire e’ che, mantenendo fisso I ed estendendo l’arco di tempo (ad esempio, arrivando ad I+100), mi aspetto che anche qualche altro utente cancelli almeno una relazione. Nel peggiore dei casi (che pero’ mi sembra improbabile), non si aggiunge nessun nuovo cancellatore, ma non scendiamo comunque dal 30% rilevato.

  • Kalamin |

    “Estendendo l’arco di tempo la percentuale sarebbe ovviamente destinata a salire ulteriormente. ”
    Non tanto ovvio, Chittaro. 51 giorni (su 365?) sono un campione statistico così scadente? Quantitativamente non mi sembra. Se invece il campione fosse sporco (perché non casuale, biased da qualche condizione, etc.), la “vera” percentuale rappresentativa (i.e., la stima corretta della proporzione per la popolazione di interesse) potrebbe tanto salire quanto scendere, non trova?

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