Tra interventi a congressi e meeting di progetti, viaggio spesso. Mi capita cosi’ di essere testimone (e a volte vittima, come nel caso che sto per descrivere) della crescente presenza di interfacce nelle camere d’albergo. L’automazione degli alberghi dovrebbe avere come obbiettivo quello di facilitare la vita degli ospiti, ma per come viene spesso progettata rischia di essere fonte di nuovi grattacapi (dopo un lungo viaggio, una camera altamente automatizzata dovrebbe facilitarci il compito di rilassarci, non richiederci di leggere pagine di istruzioni per capire cosa offre o di dover dedicare tempo ad apprendere l’interazione con sistemi dall’uso oscuro).
Come caso di studio, considerero’ la notte che ho recentemente passato in un hotel italiano appena rinnovato, dove, a fianco del letto, l’ignaro ospite trovava il pannello raffigurato nella foto qui sotto. Scopo del pannello e’di permettere all’ospite di controllare in modo centralizzato vari dispositivi elettrici della stanza (luci, condizionamento, TV,…) senza muoversi dal letto. Dopo il primo impatto con il display che, potendo mostrare un massimo di soli 5 caratteri, comunicava con un linguaggio da agenti segreti (come potete vedere nella foto) e con il tastierino a film piatto che (a differenza dei normali tasti) non lasciava percepire a livello tattile se si era premuto un tasto o no, avevo rapidamente concluso che era meglio dedicare al sonno il poco tempo che avevo a disposizione.
Problemi di usabilita’ come quelli sopracitati sono tipici e li ho incontrati in numerosi sistemi ed in vari contesti oltre a quello alberghiero, ma questo sistema mi riservava una caratteristica indesiderabile mai incontrata prima e che avrei scoperto solo piu’ tardi.
Infatti, dopo esser crollato dal sonno, il primo sogno che stavo iniziando a fare si colorava improvvisamente tutto di rosso e nel giro di pochi secondi venivo richiamato ad uno stato di dormiveglia dove mi accorgevo con stupore che il rosso permaneva anche se aprivo gli occhi. A quel punto, mi svegliavo completamente e scoprivo l’arcano: il display sul lato del letto proiettava su tutta l’area del cuscino una nube di intensa luce rossa dai toni infernali. Dopo aver cercato di riaddormentarmi nonostante la nube e dopo aver provato a premere tutti i bottoni del pannello constatando che il display non si poteva spegnere o smorzare, ricorrevo al poco tecnologico ma decisamente efficace metodo di procurarmi un secondo cuscino e di piazzarlo ben bene sopra il display in modo da oscurarlo e potere finalmente riposare.
Questo caso di studio curioso mi da’ anche l’opportunita’ di introdurre un altro dei principi dell’interazione uomo-macchina che dice che le interfacce che progettiamo devono essere confortevoli. Il termine confort riguarda i vari aspetti della condizione in cui si viene a trovare l’utente (postura, livello di rumore, temperatura, umidita’ e luminosita’ dell’ambiente, …), ma quando si pensa al caso dei normali PC domestici si e’ di solito indotti a pensare soprattutto alle posture poco confortevoli che l’utente puo’ assumere o ai riflessi sullo schermo che creano affaticamento visivo. Il caso esaminato mostra invece come in altre interfacce possa capitare di doversi preoccupare anche di ulteriori aspetti del confort, quali il non creare condizioni che disturbino il sonno del malcapitato utente.