In principio era l’usabilita’. Dai primi anni ’80 (quando nasce l’Interazione Uomo-Macchina) fino alla fine degli anni ’90, l’attenzione si focalizza sul proporre metodologie e tecniche per rendere i prodotti tecnologici piu’ usabili: in un prodotto usabile, l’utente impara velocemente cio’ che deve fare, capisce intuitivamente cio’ che la macchina gli comunica, svolge le proprie attivita’ efficientemente, compie molto raramente degli errori e quando accade e’ in grado di uscirne facilmente e velocemente,…
In quei due decenni, e’ nato un vasto insieme di metodologie per garantire l’usabilita’ e tali metodologie non sono impiegate soltanto nei laboratori universitari, ma sono anche patrimonio di quelle aziende illuminate che hanno capito come l’usabilita’ possa essere fattore competitivo: se in commercio ci sono 10 prodotti diversi che hanno lo stesso prezzo e forniscono le stesse funzioni, quello che e’ piu’ facile da usare avra’ un vantaggio sugli altri.
Ora pero’, negli ambiti di ricerca piu’ avanzati, non si parla piu’ tanto di usabilita’. O meglio, non si parla solo di usabilita’, ma di qualcosa di piu’ ampio, che la congloba e che mira a soddisfare ancora piu’ profondamente le esigenze dell’utente.
Si parla di user experience (il primo congresso internazionale su design ed user experience si e’ svolto nel 2003): non e’ solo importante sapere quanti secondi ci mette l’utente ad usare un dispositivo oppure quanto spesso compie degli errori nell’usarlo, ma e’ importante sapere anche come l’utente percepisce l’oggetto tecnologico. Che sensazioni? Che emozioni? In che tipo di relazione entra con quell’oggetto? Come entra in relazione con altre persone attraverso quell’oggetto? Prova piacere ad usare l’oggetto?
Se gli esseri umani fossero governati dalla sola logica nelle proprie decisioni e comportamenti, allora l’usabilita’ sarebbe l’unico aspetto di cui preoccuparsi e non dovremmo inventare nuovi obbiettivi e metodologie.
Ma gli esseri umani sono spesso governati piu’ da emozioni, sensazioni e sentimenti che dalla logica, quindi il fatto che un’interfaccia sia facile da usare e fornisca dei servizi utili puo’ non bastare a soddisfarli.
Le emozioni stanno cosi’ facendo irruzione nel design della tecnologia. Anche i prodotti piu’ usabili del mondo, se privi di una componente emotiva, possono sembrare all’utente freddi e senza vita. Don Norman, guru indiscusso dell’Interazione Uomo-Macchina, dichiara a chiare lettere nel suo libro del 2004 (intitolato Emotional Design): “gli oggetti attraenti funzionano meglio”. Se un prodotto e’ bello, le sensazioni positive che cio’ da’ alle persone le fa essere piu’ tolleranti di eventuali errori ed enfatizza la percezione dell’usabilita’. In altre parole, se due oggetti hanno identica usabilita’, ma uno e’ piu’ attraente, l’utente otterra’ migliori risultati (o comunque avra’ quella percezione) con quello piu’ attraente.
Voler incorporare le emozioni rende decisamente piu’ complessa la progettazione di un’interfaccia. Da un lato, bisogna capire come misurarle. Nell’usabilita’ classica, si puo’ contare su parametri condivisi quali tempi di svolgimento di un compito o percentuali di errori commessi. Ma come si possono misurare oggettivamente le emozioni nell’interazione con un prodotto? Come si misura il divertimento? Come si misura il piacere? Sono in corso di sperimentazione vari metodi – quali l’utilizzo di parametri fisiologici (frequenza cardiaca, resisitivita’ della pelle,…), questionari soggettivi, risonanza magnetica funzionale – ma nessuno e’ ancora diventato un metodo di lavoro affidabile e consolidato per gli interaction designer.
Da un altro lato, studiare la creazione di emozioni spinge ad accrescere ancora di piu’ il carattere multi-disciplinare dell’Interazione Uomo-Macchina. Quando si trattava di curare “solo” l’usabilita’, la collaborazione fra tecnologia e psicologia poteva tutto sommato essere sufficiente. Se l’interazione con un prodotto deve invece creare emozioni, allora bisogna imparare ed adattare metodi e tecniche da quei settori che sono specialisti in merito come cinema, teatro, musica, letteratura e in generale le arti. E anche da settori che non si riescono ancora ad immaginare. Ad esempio, se volessimo creare un telefonino che invece di farci sobbalzare con la sua improvvisa forte vibrazione in tasca, rendesse piacevole l’esperienza di ricevere una chiamata quando abbiamo la suoneria spenta? Probabilmente sarebbe utile parlare con un certo numero di figure professionali che nel loro lavoro toccano fisicamente le persone (ad esempio, massaggiatori, infermieri, parrucchieri,…) per capire le caratteristiche del tocco piacevole e creare cosi’ un telefonino che ci “sa prendere”.