Una credenza diffusa è che la
tecnologia abbia il potenziale di migliorare la vita di tutti: dal posto di
lavoro al divertimento, dalla salute alla casa. Ma qual’è il ruolo della
tecnologia per chi non ha nè un lavoro nè una casa? Se lo sono chiesti Christopher Le Dantec e Keith Edwards del
Georgia Institute of Technology e per rispondere alla domanda hanno intrapreso
uno studio su un campione della popolazione di “homeless” statunitense che
negli ultimi trent’anni, nonostante ripetuti periodi di forte crescita
economica, non ha mai conosciuto diminuzioni. La ricerca, che verra’ presentata oggi a CHI
2008, ha messo in luce fatti inaspettati che qualificano meglio le forme di
possibili interventi tecnologici a favore di chi è abissalmente sotto la soglia
di povertà, sia economica che informativa (information poverty).
Un primo fatto emerso chiaramente
dall’indagine è che esiste una tecnologia verso cui gli homeless nutrono forte
interesse: la telefonia cellulare. I ricercatori hanno raccolto numerosi esempi
di come un telefonino possa essere più drammaticamente utile ad una persona
senza casa, piuttosto che a una persona che vive in uno stato agiato. Il fatto
che una persona viva sulla strada non significa infatti che non senta il
bisogno di rimanere connessa con i propri genitori, parenti o amici. Anzi, in
tali condizioni, il bisogno emotivo di percepire queste connessioni aumenta ed
il telefonino è il sistema ideale per essere reperibili. L’indagine ha raccolto
testimonianze delle angosce degli homeless in tal senso, come la paura che una
persona cara stia male o sia morta e che l’informazione non possa essere loro
trasmessa perché nessuno sa come rintracciarli, o la sensazione di essere
svaniti dalla faccia della terra per l’impossibilità di poter mantenere questi
contatti sociali. Per questo motivo, molti homeless cercano di arrabattarsi per
avere un telefonino. Ma la cosa non è semplice e non solo per motivi economici.
C’è ad esempio il problema di dove andare a ricaricare le batterie e quello di
non farselo rubare mentre si dorme all’aperto. L’associazione statunitense Project
Connect sta offrendo agli homeless delle caselle vocali presso la propria
sede, dove poter lasciare messaggi a loro destinati, ma è emerso dallo studio
che gli utenti hanno difficoltà ad usare questo modo di comunicazione asincrono
rispetto a quello tradizionale sincrono del telefonino. Per alcuni che non
vogliono rivelare ai conoscenti di essere diventati homeless, avere un telefono
cellulare è anche una questione identitaria, in quanto permette di continuare a
rimanere in contatto senza destare sospetti. Altri usano funzioni del
telefonino come la sveglia e l’agenda per ricordarsi quando devono prendere dei
farmaci. Una piccola minoranza di homeless cerca anche di usare Internet presso
le biblioteche dove è offerta gratuitamente e questo crea un “digital divide”
all’interno della comunità homeless. Internet viene usata ad esempio per
verificare se le case farmaceutiche hanno dei programmi di fornitura gratuita
di medicinali oppure per cercare un lavoro attraverso siti come Monster.com,
per rivolgersi ai quali è fondamentale essere presenti on-line con una propria
e-mail.
L’introduzione di tecnologie di
pagamento elettronico (come la sostituzione dei carnet di biglietti cartacei
sull’autobus con tessere di plastica prepagate) è emersa come un’altra
problematica di interazione tecnologica per questo particolare tipo di utenti
perché non evidenzia quanti viaggi si possono ancora fare e aumenta la probabilità
di situazioni imbarazzanti in cui ci si trova sull’autobus e la macchinetta
suona per segnalare che il credito è insufficiente.
Le società più avanzate sono
all’opera nel ridisegnare gli spazi pubblici in chiave wireless così da
digitalizzare sempre più gli oggetti fisici che attualmente le popolano (ad
esempio, nei nostri spostamenti qualsiasi tipo di biglietto è destinato a
diventare un oggetto digitale da visualizzare sul proprio telefonino e la
stessa sorte subiranno varie fonti informative che attualmente richiediamo a
voce o per cui ci vengono forniti dei pieghevoli e che invece scaricheremo da
connessioni wireless). I designer che stanno concependo questi scenari hanno in
mente un modello di utente che non è certo sotto la soglia di povertà e
probabilmente non stanno considerando gli effetti di ulteriore esclusione dalla
società che la digitalizzazione delle aree urbane rischia di avere verso queste
persone.
Ho fatto alcune veloci domande ad uno degli autori dello
studio e le risposte le trovate in questo post.
© 2008, Il Sole 24 Ore. Web report from CHI 2008.