Per esperienza diretta o per sentito dire, sappiamo che dopo aver utilizzato un videogioco od un mondo virtuale può capitare di provare per un po’ una strana sensazione di non completa riconnessione con il mondo reale.
La novità è che ora un gruppo di ricercatori inglesi, capitanato da Charlene Jennett dell'UCL Interaction Center (University College London), ha voluto andare oltre gli aneddoti ed eseguire un esperimento per verificare se e quanto ciò sia vero.
Per prima cosa, il team ha scelto un test di abilità cognitiva e fisica nel mondo reale: costruire l’immagine di una volpe (illustrata nella figura a sinistra) spostando dei pezzi solidi che rappresentano forme geometriche elementari (in altre parole, il Tangram).
Immaginate di svolgere voi stessi questo test della “volpe”. La prima volta vi richiederà un certo tempo, perché vi fermerete a riflettere sui possibili spostamenti dei pezzi, ne proverete alcuni, vi accorgerete magari di aver scelto la strada sbagliata e tornerete indietro, etc.
Se però – dopo che siete riusciti a creare la figura della volpe – vi fanno ripartire da capo ed eseguire di nuovo il test, sarete estremamente più veloci di prima perché avete imparato come si fa.
I due gruppi di utenti coinvolti nell’esperimento hanno all’inizio tutti svolto il test di abilità cognitiva e fisica della “volpe”, poi però è successo qualcosa di diverso. Le persone del primo gruppo hanno giocato per 20 minuti ad un videogioco (il noto Half-Life), mentre quelle del secondo gruppo hanno svolto al computer un’attività per nulla coinvolgente (dovevano fare click sui punti in cui appariva un quadrato in giro per lo schermo). Al termine dei 20 minuti, gli utenti di tutti e due i gruppi hanno svolto di nuovo il test di abilità cognitiva e fisica e si è misurato il miglioramento di tempo nel creare la volpe per la seconda volta.
I risultati, pubblicati in un articolo sull’International Journal of Human-Computer Studies, mostrano come il gruppo dei videogiocatori abbia migliorato poco la propria performance sul test di abilità rispetto al gruppo di chi aveva eseguito il compito scarsamente immersivo al computer. In dettaglio, il miglioramento medio ottenuto dai non-videogiocatori era più grande di 1 minuto e 12 secondi rispetto al miglioramento medio dei videogiocatori, coerentemente con l’ipotesi che un’esperienza immersiva diminuisce l’abilità di riconnettersi velocemente al mondo fisico o, in altre parole, che esiste un periodo di transizione per uscire mentalmente dal mondo virtuale e ritornare a “funzionare” al meglio in quello fisico.
Per capire in modo più dettagliato il fenomeno, ad ogni persona è stato anche sottoposto un questionario per la misurazione del livello di immersione nell’attività svolta al computer (ovviamente il livello di immersione riportato dai videogiocatori è risultato superiore a quello dell’altro gruppo). Ed è emersa una correlazione statisticamente significativa fra il livello di immersione riportato dagli utenti e la scarsità di miglioramento nel secondo test della “volpe”. In altre parole, più è forte l’immersione nel mondo virtuale, più diminuisce la capacità di riconnettersi velocemente con il mondo reale al termine del gioco.
Leggendo questi risultati, una domande interessante che sorge è: quanto dura questo periodo di transizione dal virtuale al reale? Per capirlo, sarebbe ad esempio utile eseguire un esperimento dove si fanno svolgere agli utenti dei test di abilità cognitiva e fisica nel mondo reale non solo al termine dell’immersione (come è avvenuto nell’esperimento inglese), ma anche dopo 5, 10, 30… o più minuti da tale termine.
In ogni caso, in attesa di risultati più dettagliati sulla durata di questa “twilight zone” post-immersiva, suggerisco di seguire un principio di precauzione: immediatamente dopo un’immersione in un videogame o mondo virtuale, attendere la completa riconnessione con il mondo reale prima di svolgere compiti delicati o pericolosi (come, ad esempio, mettersi alla guida di un veicolo).