Consultando le statistiche degli accessi a Interattivo, ho notato un incremento in corrispondenza dei primi giorni di Giugno. Il rapporto del software evidenziava come i nuovi visitatori arrivavano attraverso i motori di ricerca e sorprendentemente con la stessa parola chiave: “paura di volare”, tema sul quale trovavano qui tre pezzi (link 1, link 2 e link 3). Come mai quest’improvvisa crescita di interesse in rete verso la paura di volare? Il primo giugno era avvenuto il disastro del volo Air France AF477, sprofondato nell’oceano.
A questo punto si potrebbe pensare che un fenomeno simile dovrebbe capitarmi dopo ogni disastro aereo. Invece no, ci sono in media una trentina di disastri aerei all’anno, ma gli altri non hanno avuto l’effetto del caso Air France quest’anno (e di quello Spanair l’anno scorso). Perché allora un disastro provoca questo effetto in rete e gli altri no? La differenza è che mentre per gli altri la notizia viene riportata dai media una sola volta e magari nemmeno in prima pagina, nel caso Air France (e Spanair), la vicenda ha ricevuto un’esposizione enorme e prolungata per diversi giorni, con cronache strazianti, continui aggiornamenti, servizi fotografici e video, interviste ad esperti (e meno esperti), pareri di piloti, tabelle di ripasso sugli incidenti più gravi degli ultimi dieci anni e così via.
Uso questo esempio specifico come punto di partenza per evidenziare alcuni fatti generali che governano i nostri comportamenti e su cui non ci si sofferma spesso a riflettere:
La percezione del rischio negli esseri umani. Contrariamente a quanto molti credono, la percezione del rischio negli esseri umani dipende scarsamente da fattori razionali (come l’uso delle probabilità e della logica), ma è fortemente determinata dalle emozioni. Se un evento ci fa particolarmente paura, quel tipo di evento va automaticamente ai primi posti della nostra classifica mentale dei rischi, a prescindere dalla reale probabilità che ci possa capitare. E dedichiamo così giorni, mesi o anni a pensare a quell’evento, a come affrontarlo, a come evitarlo. Se i nostri meccanismi di percezione del rischio fossero razionali, saremmo tutti quotidianamente impegnati a prevenire gli eventi negativi che è probabile ci colpiscano (ad esempio, le malattie cardiovascolari, il cancro e l’ictus sono i 3 eventi più probabili che ci possono uccidere o rovinare la vita). Invece, le nostre preoccupazioni tendono a focalizzarsi su ciò che colpisce di più la nostra immaginazione, anche se magari siamo coscienti che la probabilità che ci accada è di 1 su un milione. Le emozioni sono talmente potenti nel far scattare questi meccanismi automatici che anche chi si occupa di sicurezza e rischio per professione deve esercitare uno sforzo cosciente per rimanere focalizzato solo sulla probabilità degli eventi e sulla gravità delle loro conseguenze per non prendere decisioni sbagliate. Paul Slovic ed Ellen Peters del Centro di Ricerca sulla Decisione dell'Universita' dell'Oregon hanno investigato questi meccanismi chiamandoli "risk as feelings", in contrapposizione a "risk as analysis".
Il ruolo dei media nel determinare la percezione del rischio. Dato che i media sono uno strumento potentissimo per la creazione di emozioni e dato che queste influenzano la nostra percezione del rischio, ne segue che i media hanno un potere significativo nel plasmare la nostra classifica personale di che cosa è più rischioso. Prendete un evento qualsiasi, dal disastro aereo ad un crimine violento, dal crollo delle borse ad un’epidemia. I media possono decidere di liquidare quell’evento in poche righe oppure di trattarlo diffusamente, se ne può parlare una volta o per una settimana intera, si può usare un linguaggio neutro ed asettico oppure un linguaggio fortemente emotivo e negativo, delle immagini generiche oppure delle immagini impressionanti,… Queste scelte influenzeranno la percezione del rischio e l’agenda delle nostre paure. E’ il fenomeno del priming: i contenuti a cui ci esponiamo influenzano la nostra percezione della realtà ed i nostri comportamenti. Ad esempio, chi doveva volare durante il mese di Giugno ed ha passato quella settimana a guardarsi i TG, giornali e siti web che illustravano in toni apocalittici il disastro Air France, ha probabilmente volato in modo meno rilassato di chi ha dedicato la propria attenzione ad altro. Sono emblematiche in tal senso le parole di Anna, una delle recenti visitatrici che ha voluto lasciare questa testimonianza nei commenti: " il 24 di giugno 2009 devo prendere un aereo per londra… non è la prima volta che volo, in
passato ho volato tanto senza timore… ora, da quando ho fatto il
biglietto, non dormo più, non vi dico dopo il fatto dell'air france…"
La rete come sensore in tempo reale del priming mediatico. L’esempio di analisi degli accessi a contenuti Web con cui ho aperto mostra come la rete dia delle possibilità senza precedenti per studiare i fenomeni che ho potuto soltanto sfiorare in questo pezzo. Studiando i comportamenti dei navigatori in rete (anche soltanto attraverso l’utilizzo che essi fanno dei motori di ricerca) si dispone di un termometro che ogni giorno dà un quadro di dove sta andando l’attenzione delle persone. Se poi l’analisi è più sofisticata e va a considerare anche i social network, i forum, il blogging e tutti gli altri strumenti Web dove le persone si esprimono o cercano informazioni, il quadro diventa ancora più preciso. Questo genere di analisi, eseguibili con appositi strumenti software, può essere uno strumento di indagine sociale per comprendere cosa stia accadendo alle persone. Ed essendo neutro, come tutti gli strumenti tecnologici, può anche essere usato da chi mette in atto campagne di manipolazione: ad esempio, se qualcuno sta lavorando per creare paura attorno ad un tema di scarsa rilevanza, può monitorare l’ottenimento degli effetti voluti ed eventualmente modificare in tempo reale la sua campagna in base a tali verifiche.