Web, Mondo Arabo e Qualità dell’informazione in Italia (appunti da Venice Sessions 4, parte Terza)

Venice sessions Inizia il pomeriggio di Venice Session 4. I report sulla mattina li trovate in 2 post precedenti (primo, secondo).

Inizia Donatella Della Ratta, che attualmente lavora per Creative Commons nel mondo arabo. Ci racconta che tale mondo è ancora poco connesso (25% della popolazione), ma che girando per Beirut o per Amman si trovano locali dove tutti i giovani usano il Web come esperienza collettiva. Uno slogan che si trova sulle strade di Amman è "Internet is life". Piuttosto che misurare la connettività del mondo arabo in termini di connessioni broadband dobbiamo andare a vedere l'esperienza umana e sociale del vivere la rete in modo sociale e collaborativo all'interno di un bar arabo. Gli arabi stanno creando una cultura collaborativa su Web che si richiama a suggestioni popolari pre-Web quali il "mondo arabo unito" (le nazioni arabe – nonostante parlino la stessa lingua – non sono spesso collaborative fra loro). Gruppi rap palestinesi di Gaza e della West Bank riescono ad ascoltare e conoscere altri gruppi rap arabi grazie alla rete perchè non possono fisicamente muoversi per incontrarsi.Creative Jordan è un sito giordano che mira a trasformare le discussioni che nascono sul Web arabo in azioni sul territorio. Al Jazeera sta facendo uno sforzo significativo per andare sui nuovi media, incluso Web 2.0, con idee come la cronaca della guerra di Gaza su Twitter o la Al Jazeera Creative Commons Repository. E, in un'ottica collaborativa, Donatella passa il testimone ad Ahmad Humeid imprenditore Web giordano, che parla di un possibile Rinascimento Digitale Arabo, illustrando il panorama delle Web company che stanno crescendo in quel contesto e mostrando diversi siti Web progettati da tali aziende inclusa la sua. Racconta poi del suo blog e del fatto che usi l'inglese proprio per farsi seguire anche da lettori che non conoscono il mondo arabo, che definisce "un mosaico di diverse realtà sul quale non si può appicicare un'etichetta unica": si va da realtà molto liberali come quella della Giordania a paesi invece dove le libertà individuali sono estremamente limitate.

Segue l'intervento di Jacopo Barigazzi, che lavora per Adnkronos e Newsweek e parla della sua esperienza di lavorare contemporaneamente con i media italiani e quelli stranieri.Non è semplice rimodulare le leggi di produzione dei media,soprattutto in Italia (dove ad esempio non si vedono mai guerre di prezzi fra giornali come accade in Inghilterra) e la rete che ruba lettori ai giornali è una guerra fra due poveri. L'Italia non è nemmeno interessata a colmare il gap con l'estero, la nostra è una cultura che preferisce l'immagine alla scrittura, la comunicazione è soprattutto televisiva. Siamo meno attrezzati di altri paesi nella cultura scritta. Uno psicologo che lavorava per l'IBM negli anni '60 costruì il Power Distance Index (PDI) basato su un questionario con domande del tipo "Quanto avresti timore di dire al tuo capo di non essere d'accordo?". Il paese con gli esiti più verticalisti nel PDI fu la Cina, in Europa il valore più alto fu quello della Francia e l'Italia arrivò seconda. In Italia è complicato dire a chi sta sopra che sta sbagliando. Il paese invece più orizzontale è Israele. In Italia, la politica è come il calcio e ne parlano tutti, in Inghilterra è qualcosa di più elitario.

La parola passa a Luca Sofri, Lo scopo dell'intervento è portare l'attenzione sulla qualità. Non crede si possa avere un'idea su quale sarà il futuro dei media. Le cose cambiano in modo rapido ed imprevedibile, bisognerebbe fare i conti di tutte le previsioni che non si sono avverate. Cinque anni fa avremmo saputo prevedere iPhone e Twitter o Barack Obama? E quante sono le next big thing annunciate dalla stampa che non si sono materializzate? I quotidiani che chiudono e i licenziamenti nei giornali sono in aumento negli Stati Uniti. Quali sono le peculiarità della stampa e dell'informazione italiana? La qualità del giornalismo italiano è a livelli piuttosto bassi. E' interessante notare che i grandi gruppi italiani stanno ultimamente cambiando atteggiamento nei confronti della rete: le frecciatine contro la blogosfera aumentano (mostra alcuni esempi di articoli recenti negativi verso i blog apparsi sulla Stampa, Repubblica e Corriere).  Mostra poi un articolo apparso sulla Repubblica cartacea ("Italiani, un popolo di ipnotizzati") dove si sostiene che 8 milioni di italiani ricorrono all'ipnosi. Si scopre poi che la fonte è un ipnotizzatore che mette i suoi video suYouTube ed aveva mandato un comunicato in redazione. Mostra poi come il quotidiano La Stampa fu ingannato da una copertina di
Vogue taroccata con Sarah Palin: la trovarono in rete e la stamparono nella loro prima pagina. Molti blogger sono attenti a citare le proprie fonti, i giornali un po' meno. Le redazioni italiane tendono spesso a guardare molto  i titoli dei giornali statunitensi e riprendere quei contenuti. Aumenta anche la violenza da parte dell'informazione italiana. Il Giornale.it ha usato il termine "musi gialli" per parlare dei giapponesi, ricevendo una lettera di protesta dall'ambasciata giapponese a cui non ha risposto. Anche i blogger devono riflettere ed essere meno pigri e più ambiziosi per elevare il livello di qualità dell'informazione italiana.