Mondi virtuali: fanno bene o fanno male?

Videodr Venerdi' scorso, Giuseppe Riva (docente di psicologia all'Universita' Cattolica di Milano), Andrea Gaggioli (ricercatore presso la medesima universita') ed il sottoscritto sono stati ospiti della trasmissione NovaLab24 su Radio24: il tema riguardava gli usi positivi dei mondi virtuali, dalle applicazioni terapeutiche a quelle destinate all'apprendimento.

Il podcast con gli interventi integrali di tutti e 3 gli intervistati puo' essere ascoltato a questo link. Nel seguito, mi focalizzo invece sulla domandona da 1 milione di dollari che mi e' stata rivolta: "I mondi virtuali fanno bene o fanno male?", estendendo quella parte del mio intervento (anche con l'aggiunta di qualche link).

Per capire se un mondo virtuale o videogioco puo' fare male o bene (e perche') bisogna prima considerare almeno due aspetti di come funziona il nostro rapporto con questo media:

  • L'esperienza virtuale come esperienza di vita "vissuta".  Con il videogioco viviamo delle esperienze che sono
    si' virtuali, ma sono riprodotte con una crescente fedelta'  (visiva,
    auditiva e ultimamente anche motoria) che le rende sempre piu' immersive e ce le fa associare sempre di
    piu' ad un'esperienza di vita reale. Un esperimento interessante in tal senso e'
    ascoltare come le persone raccontano un'esperienza trasmessa da un
    media tradizionale (come il cinema o la televisione)  ed un'esperienza
    trasmessa da un videogioco.  Mentre le prime vengono raccontate in
    terza persona (ad esempio, "Brad Pitt ha sparato a George Clooney",
    "L'auto della polizia inseguiva il personaggio cattivo",…) evidenziando come chi narra abbia avuto un ruolo di spettatore, le seconde
    vengono usualmente raccontate in prima persona ("Mi hanno picchiato nel bar",
    "Ho sparato tutto il caricatore della mitragliatrice", "Stavo correndo
    sulle montagne in Canada",…) e chi si trovi ad ascoltare la conversazione deve chiedersi se la persona sta narrando dei fatti realmente accaduti nel mondo fisico o meno. E' diverso quindi il modo in cui
    rappresentiamo (e quindi memorizziamo) le esperienze vissute con questi diversi
    media. Nonostante il linguaggio sia gia' parzialmente indicativo, c'e' chi sta andando
    oltre la barriera della scatola cranica per vedere cosa succede nel cervello quando si
    usa un mondo virtuale e cio' che sta emergendo e' che nell'esperienza di presenza che proviamo quando usiamo mondi virtuali entra in gioco
    una rete complessa e distribuita di diverse aree del cervello (una rassegna di alcuni studi è apparsa sul numero di Maggio 2009 di Frontiers in Neuroscience).
  • Il mondo virtuale associa emozione ad azione. Il videogioco, a differenza di un media come la televisione che tenta di produrre una sequenza fissa di emozioni in spettatori passivi, ha il potere di condizionare la produzione di emozioni alle azioni del giocatore. E dato che in generale quando associamo delle emozioni a dei contenuti ne facilitiamo il trasferimento nella nostra memoria a lungo termine, un gioco può essere progettato in modo da favorire la memorizzazione di certe risposte comportamentali invece che altre ai contesti virtuali presentati. Questo processo può essere ottimizzato, non limitandosi al cosiddetto "learning-by-doing", ma andando a sfruttare conoscenze piu' fini sulla memoria umana. Ad esempio, il cosiddetto mood congruence effect: è molto più probabile che memorizziamo un'informazione positiva se viene associata ad un'emozione positiva (invece che negativa). Ed è molto più probabile che memorizziamo un'informazione negativa se viene associata ad un'emozione negativa (invece che positiva). Ad esempio, se voglio far memorizzare che non bisogna prendere l'ascensore in un incendio, l'esperienza virtuale – dopo che l'utente ha compiuto l'azione di prendere l'ascensore nel gioco – deve creare delle emozioni negative (paura, dolore, angoscia,…) associate al compimento di quell'azione nel contesto incendio. La capacità di legare emozione ad azione dell'utente a seconda del contesto presentato può amplificare il potere persuasivo del mondo virtuale rispetto al media televisivo.     

Allora il punto è: considerato un mondo o videogioco che utilizziamo, quali sono le associazioni che ha creato e reso facili da memorizzare il progettista di quelle esperienze virtuali? In altre parole, che associazioni sto inconsciamente assimilando con l'immersione ripetuta in quel mondo? Un videogioco puo' quindi farmi male oppure bene a seconda della risposta a questo genere di domande.

In positivo, nel mondo dei cosiddetti serious game si sta sperimentando un po' di tutto per persuadere le persone a migliorare i propri comportamenti nel mondo reale: giochi per migliorare la propria salute (fare una vita meno sedentaria, mangiare in modo piu' sano,…), per salvare l'ambiente (imparare a consumare meno elettricita', usare meglio i mezzi di trasporto,…), per essere piu' sereni (rilassamento, meditazione,…), per acquisire abilita' professionali (un caso di cui ho parlato in un post precedente riguardava il training degli
infermieri del 118
).

In negativo, l'attenzione degli psicologi (in particolare quelli sociali) è stata attratta in particolare dalla possibilità di assimilare associazioni che aumentino la probabilità di reazioni aggressive nel mondo fisico (v. giochi dove bisogna ripetere un numero immane di azioni crudeli per procedere) o dalla più subdola possibilità di far sviluppare associazioni negative a determinati contesti o categorie di persone (ad esempio, favorire il pregiudizio razziale).

© 2009 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore.