Il rapporto che abbiamo con i gadget tecnologici sta diventando più complesso. Assistiamo a lanci di nuovi gadget che diventano veri e propri fenomeni sociali (vedi i casi recenti di iPad e iPhone 4) e la vita quotidiana è ricca di scenette indicative di un rapporto peculiare fra persone e gadget. Due esempi a cui ho da poco assistito: un utente che, di fronte al telefonino che emette un segnale sonoro, dice “lui mi chiama” (“lui” era il dispositivo e “mi chiama” denota attribuzione di intenzionalità), oppure un altro che sfiorando soddisfatto lo schermo del suo iPad dice “mi fa compagnia nei lunghi viaggi”. Per questi comportamenti, esiste il termine tecnico antropomorfizzazione (cioe' l'attribuzione di caratteristiche, sentimenti o comportamenti umani ad oggetti o ad animali) ed esiste anche un lungo dibattito nella comunità del design di interfacce e dispositivi fra chi sostiene che bisogna incentivare comportamenti di antropomorfizzazione nell’utente che così potrà sentirsi più legato al suo dispositivo e chi invece è contrario perché sostiene che ciò genera aspettative errate che il dispositivo non può soddisfare (sul tema dell’antropomorfizzazione vedi anche questi pezzi).
Ma un tema meno esplorato riguarda il perché antropomorfizziamo i nostri gadget? Quali sono i fattori che favoriscono la nascita di questi rapporti peculiari fra persone e gadget tecnologici? Uno spiraglio di luce su almeno uno di questi fattori è arrivato da una ricerca svolta in collaborazione fra Università di Chicago ed Università di Harvard, alla quale ha collaborato anche John Cacioppo, esperto del tema “solitudine”. E l’esperimento svolto dal team ha esplorato proprio la possibilità che uno stato di solitudine e di scarsa connessione sociale sia correlato ad un’aumentata tendenza delle persone a compensare creando un senso di connessione con entità non umane come i gadget, attraverso l’antropomorfizzazione.
I ricercatori hanno fatto leggere presentazioni d 4 gadget ai partecipanti allo studio. I gadget erano: Clocky (una sveglia con le ruote che “scappa via” in modo che ci si deve alzare dal letto per spegnerla), CleverCharger (un caricabatterie progettato per evitare di caricare oltre il necessario le batterie), Pure Air (un purificatore d’aria per persone con allergie o problemi respiratori), Pillow Mate (un cuscino a forma di torso umano che può essere programmato per dare degli “abbracci”). Dopo aver letto le descrizioni, i partecipanti rispondevano ad un questionario destinato a valutare quanto antropomorfizzavano i gadget (chiedendo di indicare quanto ritenevano che il gadget fosse dotato di “una mente sua”, “intenzioni”, “libero arbitrio”, “coscienza”, ed “emozioni”) ed un questionario per valutare lo stato di solitudine del partecipante.
I risultati, pubblicati in un articolo sulla prestigiosa rivista Psychological Science, indicano che lo stato di solitudine era positivamente correlato al livello di antropomorfizzazione: più le persone erano sole e socialmente disconnesse, più era forte la tendenza ad antropomorfizzare i gadget.
Nel riflettere sul risultato, i ricercatori ipotizzano che i particolari rapporti fra persone e gadget nella società tecnologica presentino similitudini con quelli che – da tempi molto più lontani – le persone creano con le icone religiose o con gli animali domestici. E infatti nel seguito dell’articolo si lanciano in due ulteriori esperimenti: uno concernente il bisogno di credere in agenti soprannaturali antropomorfi nel proprio rapporto con la religione, ed uno sulla tendenza ad antropomorfizzare i cani. Ed i risultati sono analoghi a quelli dell’esperimento con i gadget: più la persona si sente sola e socialmente sconnessa, più il suo senso religioso è fatto di agenti soprannaturali antropomorfi (nel secondo esperimento) e più tende ad antropomorfizzare i cani (nel terzo esperimento).