Sotto la neve dello shopping natalizio, ho assistito a questa curiosa scenetta.
Bambino di 6-7 anni con genitore che attendono fuori da un negozio. Dalla destra arriva un signore con un tenero cagnolino beagle scodinzolante. Dalla sinistra arriva una coppia con un altro beagle che sembra quasi l'immagine speculare del precedente. Gli occhi annoiati del bambino improvvisamente si illuminano, tira per la giacca la madre ed esclama ad alta voce: "Mamma, mamma, due cani della stessa versione!".
Per automatismo, stavo iniziando a correggere mentalmente l'errore: "si dice razza, non versione…", ma poi invece mi sono divertito a notare come i termini tecnologici dell'informatica stiano permeando sempre di piu' il linguaggio di ogni giorno e quindi inevitabilmente entrino a far parte degli usi creativi ed esplorativi che i bambini fanno delle parole che sentono.
E da li' ho compiuto un ulteriore salto mentale pensando che in fondo l'uso innovativo del termine proposto dal bambino potrebbe essere una buona idea. Spesso chiamare una cosa con un altro nome e' cruciale per cambiare l'atteggiamento delle persone verso quel tema ed anche a livello personale spesso ridefinire con parole nuove un aspetto su cui ci siamo bloccati e' il passo che ci fa guardare ad una situazione con occhi diversi ed uscire dall'impasse. In fondo, scomodando Heidegger, il linguaggio e' il "padrone dell'uomo" o, usando le parole piu' moderne di Steven Pinker, e' "la roba di cui sono fatti i pensieri".
Dato che, guardando alla cronaca recente, ogni volta che salta fuori il termine razza scatena istantaneamente sentimenti negativi e conflitti, chissa' se cambiare termine puo' aiutare a cambiare prospettiva.
Ecco quindi un pensierino per il natale del XXI secolo:
"Siamo tutti versioni di uno stesso software".
Auguri!