L’utilità di Twitter nei Disastri: il Terremoto in Giappone e oltre

Twitter logo Non appena sono arrivate le prime notizie su terremoto e tsunami, mi è venuto in mente un collega (ed amico) giapponese e mi sono preoccupato per lui. Ho provato a visitare la sua pagina Twitter e sono stato subito aggiornato in tempo reale su quanto gli stava accadendo. Grazie ai brevi messaggi di micro-blogging informava tutti che stava bene, era bloccato presso la sua università perché non c’erano trasporti che lo potessero portare a casa (distante una cinquantina di Km), i telefoni fissi e cellulari non funzionavano ma Internet sì, quindi Twitter era anche l’unico mezzo per tentare di comunicare alla moglie che stava bene e auspicabilmente ricevere la stessa informazione in risposta. Chissà se questo piccolo esempio può far cambiare idea a quelle persone (e non sono poche in Italia) che dicono “non mi interessa usare la rete per comunicare perché il telefono è più pratico e naturale”.

Ma oltre all’utilità per il singolo – che dispone di un canale di comunicazione in più in caso di disastro – l’uso del microblogging può portare vantaggi anche alla collettività e alle organizzazioni che devono gestire l’emergenza. Innanzitutto, durante un disastro è importante impegnare il meno possibile le infrastrutture di telecomunicazione che, tipicamente danneggiate e limitate nella banda che possono sostenere, vanno riservate alle comunicazioni realmente urgenti. In tal senso, se invece di provare a telefonare ripetutamente a tutte le persone per cui siamo preoccupati e poi intavolare con ognuna di esse conversazioni in audio dove ripetiamo lo stesso discorso, riusciamo a rendere pubbliche le poche informazioni cruciali con micro-messaggi testuali persistenti, consumiamo decisamente meno banda.

Per quanto riguarda le organizzazioni chiamate a gestire l’emergenza, l’uso più ovvio e immediatamente fattibile del micro-blogging è quello di trasmettere istruzioni alle persone interessate da un’emergenza. Ma il micro-blogging può essere bidirezionale. Gli studi eseguiti su disastri recenti mostrano che lo “user-generated content” prodotto dai “tweet” delle persone colpite è ricco di informazioni per capire dettagliatamente cosa sta accadendo nelle diverse zone. In altre parole,gli utenti Twitter possono svolgere quella funzione che nell’epoca pre-social network era tipica dei radioamatori, con il vantaggio di essere molti di più (usare Twitter è certamente più semplice che diventare radioamatore) e la descrizione degli eventi può quindi essere capillare. Inoltre, le comunicazioni dei micro-blogger sono persistenti (rimangono disponibili, memorizzate sulle pagine web) ed anche asincrone (non è necessario essere collegati allo stesso istante per potersi dare delle informazioni). Un problema da risolvere è però dovuto alla mole enorme di messaggi che si generano in un’emergenza (molti dei quali sono fra l’altro dei “re-tweet” di messaggi già pubblicati). Le organizzazioni di soccorso e protezione civile hanno quindi bisogno di strumenti semi-automatici che le aiutino a filtrare e categorizzare questa massa di messaggini per poterla trasformare in informazione utile ai fini della cosiddetta “situation awareness”.

Alcuni progetti recenti di ricerca universitaria si stanno concentrando proprio su questo obbiettivo. Al momento, sono state completate delle analisi puntuali di tutti i messaggi memorizzati su servizi di micro-blogging nel corso di alcuni disastri, come i vasti incendi che hanno colpito la California e l’Oklahoma, il terremoto di Sichuan in Cina, gli attacchi armati alle università statunitensi Virginia Tech e Northern Illinois e l’inondazione causata dal fiume Red River sempre in USA. Una delle categorizzazioni di tali micro-messaggi (proposta da un gruppo di ricercatrici dell’Università del Colorado in questo articolo) ha mostrato come attraverso Twitter si possano reperire durante un’emergenza informazioni su: (i) tipi di minacce presenti in particolari zone geografiche, (ii) iniziative individuali o di gruppi di cittadini in risposta all’emergenza, (iii) condizioni ambientali locali: percorribilità delle strade, fenomeni metereologici, visibilità, (iv) localizzazione di persone da soccorrere, (v) rapporti sui danni subiti dai singoli comuni colpiti. Inoltre, gli utenti Twitter si dimostrano attivi anche nello scambiarsi consigli via rete per aiutarsi e coordinarsi nell’affrontare gli eventi.

© 2011  Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore 

 

  • Stefano |

    Non si tratta chiaramente di una catastrofe come un terremoto, comunque segnalo l’uso dei tweets che sta facendo in queste ore Aruba.it:
    http://twitter.com/#!/arubait

  • LucaChittaro |

    @Eleonora e Stefano:
    si, il problema e’ proprio quello di riuscire a organizzare, filtrare e riassumere la massa di tweet provenienti dalla zona dell’emergenza.
    Le ricerche in corso hanno come obbiettivo quello di arrivare a software semi-automatici che aiutino gli operatori umani.

  • Stefano |

    Molto interessante.
    Il problema penso sia riuscire a raccogliere e gestire tutte le informazioni (tweet) generate degli utenti e per di più farlo in tempi molto rapidi in situazioni come quelle citate nel suo intervento.
    Un’idea banale (ma tutt’altro che banale da realizzare) potrebbe essere realizzare un sistema centrale capace di raccogliere gli interventi, filtrarli e generare dei report.
    E’ forse qui che si concentrano gli studi?

  • Eleonora |

    Purtroppo l’immediatezza di twitter presenta anche lati meno positivi, come il fatto di generare molto rumore. Per questo ci si sta interrogando sulla “qualita’”… a questo proposito segnalo questa discussione “Tweeters: I want a witness tag” di Jeff Jarvis (non metto il link che di solito nei commenti equivale a spam).

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