Dopo un recente post sugli effetti negativi della tecnologia preconizzati da Jon Kabat-Zinn, ho ricevuto alcuni messaggi che mi chiedevano cosa egli proponga per affrontarli. Racconto quindi nel seguito un po’ della storia del docente statunitense e introduco le tecniche che suggerisce di usare.
Nel 1979, Jon Kabat Zinn (foto a sinistra) fondò la Stress Reduction Clinic presso lo University of Massachussets Medical Center. L’obbiettivo della clinica era, nelle parole dello stesso Kabat-Zinn, quello di “identificare ed insegnare tecniche adattative per gestire lo stress all’interno della propria vita”. I corsi della clinica dovevano addestrare le persone “innanzitutto a sapere riconoscere il livello di stress in cui si trovano ed il tipo di stimoli e situazioni che causano loro tale stress e poi mettere in atto metodi efficaci per affrontarlo”.
Negli anni successivi, la clinica perfezionò un programma chiamato MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction) che è stato poi adottato da altri ospedali in diverse nazioni. E viene usato anche in diversi contesti professionali dove lo stress ed il rischio di burnout sono elevati, ad esempio, Kabat-Zinn ha svolto programmi di MBSR per giudici di tribunali così come per guardie (e prigionieri) nelle carceri.
Dalla nascita della MBSR ad oggi, l’evoluzione tecnologica è riuscita a rendere l’esigenza di ridurre lo stress ancora più diffusa e pressante. Kabat-Zinn riporta così questi cambiamenti: “I livelli di stress con cui si presentano le persone alla clinica oggi, confrontati con quelli di vent’anni fa, sono semplicemente incredibili. Oltre alle tradizionali fonti di stress (lavoro, persone, malattie, ruoli da ricoprire, eventi del mondo,…), con l’era digitale abbiamo introdotto fonti di stress interamente nuove nella nostra vita: lo stress dell’information processing e della velocità a cui fa viaggiare le cose. E abbiamo reso sempre più sfumata la distinzione fra la vita lavorativa e quella domestica, fra la settimana lavorativa e il weekend, fra il giorno lavorativo e la notte. Si può quindi arrivare al punto in cui si è sempre al telefono, sempre a leggere e inviare e-mail, il punto in cui stai sempre reagendo a qualche stimolo e tutto il tempo è dedicato al fare e non all’essere. Il punto in cui siamo sempre di corsa e diventiamo isolati, non solo rispetto agli altri, ma anche rispetto a noi stessi, alla dimensione corporea.”
Questo modo di affrontare le situazioni porta alla mindlessness, cioè il reagire in modo inconsapevole agli stimoli e agli eventi, come se fossimo guidati da un “pilota automatico”. Ad essa, Kabat-Zinn contrappone la mindfulness, la capacità di essere pienamente consapevoli nelle situazioni che affrontiamo: “mentre può essere difficile agire sulle forze esterne che creano pressioni su di noi, abbiamo un ampio spazio di manovra nel modo in cui rispondiamo a questi stimoli. Ma per far ciò dobbiamo essere in contatto con quello che accade. La mindfulness si focalizza sul momento presente, che è diventato quasi una dimensione nascosta nella nostra vita: siamo fisicamente qui, ma se verifichiamo cosa passa nella nostra mente ci accorgiamo che è da altre parti e che siamo alienati dal corpo”.
Il discorso è suggestivo, ma come si fa in pratica a sviluppare la mindfulness? E qui arriva quella che è stata l’idea cruciale di Kabat-Zinn, che ha preso alcune millenarie tecniche di meditazione (tipiche della tradizione buddista) e le ha depurate da tutto l’immaginario religioso e dai riferimenti a culture distanti da quella occidentale. Ciò che è rimasto sono tre esercizi che possiamo definire di allenamento dell’attenzione: (i) nel primo, si mette al centro dell’attenzione il proprio respiro e lo si osserva, riportando gentilmente l’attenzione su di esso ogni volta (e sono tantissime) che la mente si distrae; (ii) nel secondo, si fa la stessa cosa mettendo però al centro dell’attenzione il corpo ed eseguendo un “body scan”: l’attenzione si focalizza su singole regioni del corpo che viene lentamente perlustrato; (iii) nel terzo, si osserva la miriade di pensieri che genera la propria mente, guardandoli evolvere in modo distaccato, da testimone che non si identifica con essi.
Questi sono in soldoni i tre esercizi fondamentali del programma di MBSR (il quarto e ultimo è basato su alcune posture e movimenti dello yoga, da eseguire in modo mindful). Dall’ampia esperienza documentata in letteratura, gli effetti di riduzione dello stress si manifestano già nel giro di poche settimane, se l’allenamento è quotidiano (Kabat-Zinn suggerisce di riservarsi 45 minuti al giorno per praticare gli esercizi).
I successi ottenuti dall’MBSR hanno fatto crescere nella comunità scientifica l’interesse di numerosi gruppi indipendenti che stanno sperimentando la mindfulness nei contesti e per i disturbi più diversi. Ciò ha creato un flusso considerevole di articoli su riviste e congressi scientifici (Google Scholar riporta parecchie migliaia di pubblicazioni sull’argomento Mindfulness). Alcuni di questi studi si chiedono anche perché e come delle tecniche così semplici funzionino, ma per capire questi meccanismi ho sentito un docente italiano che sta studiando la mindfulness mediante la risonanza magnetica funzionale. Le sue risposte le trovate nella seconda parte.