La filosofia “user-centric” (o “human-centric” che dir si voglia) sta facendo breccia in nuove aree, estremamente diverse da quella classica dell’usabilità dei computer (dove nacque negli anni ’80) o quella più recente della user experience (così in voga nel mondo del Web o anche in versione Mobile User Experience). In contrasto con i vecchi approcci “technology-centric” in cui l’attenzione è tutta focalizzata sulla macchina e come aumentarne le prestazioni tecniche a prescindere dal fatto che tali aumenti riscuotano effetti apprezzabili nell’uso da parte dell’uomo, in un approccio “human-centric” ciò che conta sono i fattori umani (le capacità ed i limiti, i bisogni e le preferenze, gli aspetti culturali e sociali degli utenti) e la macchina viene dopo: è lo strumento che deve essere progettato per integrarsi come elemento importante ma tutto sommato di sfondo nei contesti umani.
Questo messaggio sembra ora iniziare ad insinuarsi anche nel settore militare in cui la dottrina della "net-centric warfare” e del relativo campo di battaglia "networked" ha invece progressivamente portato ad una visione sempre piu' “technology-centric” con un soldato destinato ad essere sempre piu' sostituito da macchine autonome e mobili (eventualmente anche sotto forma di organismi cyborg) collegate fra loro in una rete wireless planetaria (il futuro campo di battaglia "networked" è stato suggestivamente esemplificato dal film di fantascienza Terminator 3).
Ma non tutto l'establishment militare statunitense sembra credere a questa visione. Ho appena terminato di leggere il discorso introduttivo del generale statunitense R.H. Scales per
un volume realizzato nell'ambito del programma MURI (Multidisciplinary University Research Initiative) che finanzia la ricerca militare multidisciplinare presso le universita' in USA. Vi traduco nel seguito i passaggi cruciali.
Innanzitutto, Scales ammette che “oggi spendiamo trilioni di dollari per ottenere poche miglia di velocità in più, pochi metri di precisione in più o pochi bit di banda in più” (in pratica, la filosofia “technology-centric”).
Ma nella sua visione questa enorme spesa non sta producendo i risultati desiderati: “Ciò che accade oggi in Iraq ed in Afghanistan ci ricorda che la guerra è un’impresa inerentemente umana, non tecnologica. Il combattimento in quei luoghi è ravvicinato e tattico. Il successo è meno dipendente dall’applicazione delle ultime tecnologie e più dipendente dall’abilità di conquistare la battaglia umana, culturale e cognitiva di battere il nemico al suo stesso gioco. Le battaglie di oggi in Iraq ed Afghanistan sono infatti un presagio di un futuro dove le abilità del soldato saranno più importanti di quelle del suo equipaggiamento.”
Le previsioni/auspici che Scales formula sulla futura guerra “human-centric” sono di due tipi:
- “Le guerre del futuro si vinceranno non catturando e mantenendo più terreno ma influenzando e dando forma alle percezioni dei popoli stranieri e guadagnando la loro fiducia.”
- “Spero che le ricerche sulle performance umane sotto stress siano la scintilla che accende un serio impegno nella comunità intellettuale della difesa a focalizzare il proprio enorme capitale sul compito di migliorare i soldati. […] Così forse un giorno saremo capaci di produrre legioni di soldati e leader superbamente condizionati cognitivamente e psicologicamente ad essere migliori nel compito del combattimento ravvicinato più che di qualsiasi nostro nemico. Il dominio cognitivo non quello tecnologico nasconde il segreto delle future vittorie”.
Qui forse la fantascienza è rimasta un po’ indietro. Se Terminator 3 ha visualmente ben rappresentato le forme di un futuro dominio militare tecnologico, quale tipo di immaginario cinematografico-letterario può aiutarci a “vedere” le forme del dominio militare cognitivo presagito da Scales?
E mi torna in mente anche l'incontro con Bruce Sterling di quasi due anni fa, a parlare di futuro e di paura.