Antropomorfizzazione della macchina

Viaggiando
in auto
con una famiglia al completo alle sue prime esperienze d’uso di un
navigatore satellitare,
mi è capitato di notare che il nuovo oggetto tecnologico introdotto
nell’abitacolo veniva trattato dai presenti quasi come
una
persona, tanto da usare espressioni come "Lei/La
tipa
dice di andare di qua…" ed usare il nome "Maria" per riferirsi all’oggetto.

Questo è un esempio di un
tipo di
comportamento nei confronti di una macchina o di un software che viene chiamato antropomorfizzazione, cioe’ l’attribuzione di caratteristiche, sentimenti o comportamenti umani
ad
animali o (come nel nostro caso) oggetti. L’antropomorfizzazione
è comune sia tra gli utenti meno esperti delle tecnologie sottostanti
("L’elaboratore di testi non vuole
più aprirmi il file!"), sia tra gli "smanettoni",
che antropomorfizzano le loro invenzioni ("I due thread che ho lanciato
stanno litigando per quella
risorsa.").

Hci_lab_maria
Negli
ultimi anni, si sta diffondendo l’uso di una nuova tecnica che mira specificamente ad incentivare
l’antropomorfizzazione: l’utilizzo dei virtual human (anche detti umanoidi),
ovvero personaggi virtuali dalle sembianze umane, che compaiono sullo schermo e vengono
utilizzati
con diversi ruoli, quali l’assistente (ad esempio, per spiegare la bolletta Telecom), la guida (ad esempio,  in un museo virtuale),  l’istruttutore (ad esempio il personal trainer di un post precedente).

Tali personaggi animati possono portare dei benefici all’interazione. Ad esempio, una ricerca di Lester e
colleghi

ha mostrato che un personaggio animato dalle sembianze umane in un
ambiente
interattivo per l’apprendimento può avere un forte effetto motivante
sull’esperienza dello studente. Oppure, una ricerca di Luczak e colleghi,
pubblicata sulla
rivista Ergonomics,
ha mostrato che gli utenti sono  meno diffidenti nei
confronti di una macchina se, grazie a  tecniche che incentivano
l’antropomorfizzazione quali l’utilizzo di voce umana (preregistrata o
sintetizzata), essa viene percepita come un’amica o un’aiutante,
anziché come
un semplice strumento.

L’antropomorfizzazione nasconde pero’ anche dei rischi. Gia’ nel
1992, discutendo le prime tecnologie che potevano favorire l’antropomorfizzazione, Ben Shneiderman, uno dei pionieri dell’Interazione Uomo-Macchina, consigliava di non farne
uso
, perché potevano portare l’utente ad avere aspettative errate. Piu’ antropomorfizzo la macchina e piu’ creo alle persone l’aspettativa che i  comportamenti della macchina e le sue reazioni ai comandi debbano essere analoghe a quelle di un essere umano. Quando poi cio’ non si verifica, diventa difficile per un essere umano comprendere cosa stia facendo quella macchina e si smette di usarla oppure si rischia di prendere  decisioni sbagliate fondate su questa incomprensione. Nel caso degli assistenti virtuali, esempi specifici di aspettative che crollano sono illustrati da un test dell’assistente IKEA e da un test dell’assistente CartaSi.

[post redatto assieme a Fabio Buttussi di HCI Lab]

  • Luca Chittaro |

    Grazie per la segnalazione, leeander.
    Sono andato a provare l’assistente virtuale di CartaSI ed ho dedicato un apposito post all’incontro:
    http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/10/cronaca-dellinc.html

  • leeander |

    Beh, che dire… Oggi in Italia c’è una delle migliori tecnologie del Pianeta in termini di “assistenti virtuali”. Noi li chiamiamo k-human e lavorano già in CartaSI ed in Gabetti. E fanno molto di più che spiegare una bolletta telefonica (dieci campi sempre uguali!).
    Dietro al mero “prodotto” esiste un lab con una dozzina di ricercatori, che lavorano al futuro di questi sistemi automatici. Il team ha competenze profonde in ambiti come il riconoscimento del linguaggio naturale & l’intelligenza artificiale, ma anche la grafica 3D e le tecniche di recitazione o di creazione del fumetto. Questo “miracolo italiano” lavora da tempo alle cosidette eUI (interfacce emozionali) e dato che tra loro c’è anche chi -appena tre anni fa- ha contribuito a progettare il primo computer al mondo che risponde a sguardo e voce (non ha mouse ne tastiera), ritengo che il progetto abbia una sua forte credibilità. Ah, tutto ciò avviene in Italia, lo ribadisco. Qualcuno ne ha sentito parlare? UXmatters.com -celebre rivista di User Experience Statunitense- ne parlava esattamente un anno fa.

  • Luca Chittaro |

    Si, ci sono delle situazioni dove non ha molto senso avere umanoidi che si frappongono fra l’utente e la macchina. Ma ci sono anche delle situazioni dove sono efficaci. Oltre a quelle di training brevemente citate nel post (dove l’umanoide puo’ mostrare all’utente in modo naturale come compiere certe azioni, ad esempio esercizi di ginnastica), un altro caso che mi viene in mente e’ quello dell’interazione con utenti sordi o sordomuti, dove l’umanoide puo’ comunicare in lingua dei segni. In generale, il mio personale suggerimento e’ di valutare caso per caso se un umanoide sia in grado di portare del valore aggiunto ad un’applicazione oppure se sia solo un gadget che limita l’interazione invece che migliorarla.

  • Roberto Dadda |

    Per la mia esperienza escludendo rarissimi casi dove l’utente ha contatto sporadici se non unici con il sistema una interfaccia antropomorfa non ha molto senso.
    Oltre al problema delle attese evidenziato da Shneiderman il problema è che si tende ad importare nel liberissimo mondo dei bit le limitazioni intrinseche al mondo degli atomi e non è una buona idea…
    bob

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