RFID ed interazione con oggetti quotidiani

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La tecnologia RFID (Radio Frequency IDentification) permette la lettura a distanza di informazioni
contenute in uno o più etichette (tag)  attraverso degli appositi lettori. A seconda dei costi, i tag RFID possono
trasmettere informazioni da pochi cm di distanza fino anche a 600 m.

I tag RFID hanno un numero crescente di utilizzi negli oggetti quotidiani:  dalle etichette dei
vestiti per applicazioni di magazzino o di antitaccheggio fino all’inserimento nei passaporti  (v. caso degli USA) per trasmettere le informazioni
personali ed una foto digitale del possessore.

In generale, un corretto utilizzo della
tecnologia RFID può semplificare di molto la vita degli utenti: gli
oggetti posseduti possono diventare "intelligenti" e svolgere
in automatico alcuni compiti nei momenti adeguati. Ad esempio, si sta
sperimentando l’integrazione di lettori RFID su elettrodomestici, quali
lavatrici, frigoriferi, e forni a microonde. La lavatrice
potrebbe leggere le etichette dei vestiti (dotate di tag RFID) ed
impostare automaticamente il programma di lavaggio migliore per i capi
inseriti al suo interno. Un frigorifero "intelligente", grazie alla
lettura delle etichette RFID sugli alimenti,  potrebbe conoscere le
vivande contenute al suo interno e generare automaticamente la lista
della spesa. Questi scenari domestici sono illustrati dal seguente video:

I tag RFID trasmettono pero’  informazioni
al lettore senza che l’utente ne sia necessariamente consapevole, con possibili violazioni della privacy. Ad esempio, un utente
dotato del nuovo modello di lavatrice acquista vestiti con incorporato un tag RFID che può essere letto da
una certa distanza. In presenza di una rete di lettori RFID (vista la
proliferazione prevista), i movimenti dell’utente possono venire
tracciati quando indossa quel vestito. E se quel vestito e’ stato acquistato con una carta di credito o bancomat, al codice trasmesso dall’RFID si possono potenzialmente associare anche nome, cognome ed indirizzo dell’acquirente.

— contributo inviato da Daniele Nadalutti di HCI Lab