Che cosa succederebbe se i nostri bambini vivessero assieme ad un robot? La domanda non e’ peregrina: visti i notevoli progressi a cui si sta assistendo in robotica, siamo destinati a veder velocemente crescere il numero di robot inseriti nelle societa’ piu’ industrializzate. Ha quindi senso porsi queste domande in tempo, per poter prevedere benefici e problemi dell’interazione fra esseri umani e robot e progettarla in modo corretto e consapevole. Nell’ambito dell’Interazione Uomo-Macchina, sta quindi emergendo un nuovo settore, la Human-Robot Interaction (HRI), che si occupa proprio di questo.
Un gruppo di ricercatori dell’Universita’ della California ha particolarmente a cuore l’interazione fra bambini e robot e, in collaborazione con l’azienda Sony, ha da poco pubblicato sulla prestigiosa rivista della National Academy of Science statunitense i risultati di una ricerca in cui un robot antropomorfo e’ stato collocato per un periodo di 5 mesi in una classe d’asilo frequentata da bambini tra i 18 mesi ed i 2 anni d’eta’. Il robot era un modello QRIO (v. foto a sinistra), anche chiamato Sony Dream Robot, e manifestava diversi comportamenti autonomi con movimenti estremamente simili a quelli di un essere umano, all’interno di 6 categorie: ballare, sedersi, alzarsi in piedi, stendersi a terra, fare gesti con le mani, ridere. La vita dei bambini assieme al robot era filmata con telecamere che permettevano ai ricercatori di studiare la relazione fra bambini e robot.
Lo studio ha mostrato come, dopo 45 giorni di immersione del robot nell’asilo, si osservano nei bambini legami affettivi di lungo termine verso il robot. I bambini esibiscono progressivamente dei comportamenti sociali, affettivi e di cura verso il robot (carezze, abbracci, frequente ricerca del contatto fisico, preoccupazione se il robot si stende a terra perche’ ha le pile scariche,…) analoghi ai comportamenti mostrati verso gli altri bambini e diversi invece dai comportamenti manifestati verso i giocattoli. Le foto qui sotto mostrano alcuni momenti dell’interazione fra i bambini ed il robot, inclusa la reazione spontanea di coprire il robot con una coperta quando si stende perche’ ha le pile scariche.
Un’altra cosa che ha sorpreso i ricercatori e’ stata che, nonostante il loro esperimento fosse focalizzato solo sui bambini ed avessero raccomandato piu’ volte agli insegnanti di non parlare del robot ai bambini, gli insegnanti raccomandavano invece ai bambini di non far inciampare il robot, esattamente come se fosse un altro membro della classe che si puo’ far male. Questo dettaglio non mi sorprende pero’ piu’ di tanto: antropomorfizzare le macchine ha effetti subdoli e profondi non solo sui bambini, ma sulle persone in generale (di alcuni di tali effetti, avevo parlato in un precedente post).
Forse vi chiederete perche’ all’industria robotica interessano studi come questo. Perche’ uno degli obbiettivi difficili per essa e’ quello di abbattere la cosiddetta “barriera delle 10 ore”, cioe’ il fatto che la persona media tende a perdere interesse verso lo stare assieme ai robot disponibili commercialmente dopo circa 10 ore di uso totale. L’industria mira invece a raggiungere lo stesso risultato che si ottiene con gli animali domestici, verso i quali l’interesse a stare assieme tende a crescere, invece che a diminuire con il tempo. Il risultato di questo studio dovrebbe quindi farle piacere.