Siamo in molti ad essere dotati di un’ampia ed aggiornata gamma di dispositivi tecnologici (dallo smartphone agli elettrodomestici “intelligenti”) e software (dal navigatore per l’auto alle applicazioni sociali). Il messaggio che accomuna il marketing di tutti questi dispositivi ed applicazioni puo’ essere riassunto in “ti permettiamo di svolgere facilmente e velocemente i tuoi compiti” e in alcuni casi “siamo anche belli e divertenti”. Ne dovrebbe seguire che chi riempie la propria vita di tali strumenti, dovrebbe essere piu’ contento, rilassato e con piu’ tempo a disposizione.
In realta’, gli utenti super-tecnologici (almeno l’ampio campione che conosco direttamente) si lamenta di essere sotto eccessivo stress tanto quanto (o ancora di piu’) di chi e’ scarsamente orientato verso la tecnologia. Per spiegare cio’, in pezzi precedenti mi ero concentrato soprattutto sul sovraccarico informativo e cognitivo (v. questa serie di articoli). Ma i fattori in gioco sono molti. Uno di essi e’ stato evidenziato ben prima dell’avvento del Web e della societa’ dei “sempre connessi” da Jon Kabat-Zinn (nella foto), professore emerito della University of Massachussets Medical School ed autorita’ internazionale sul tema della riduzione dello stress. Per dirla con le sue parole: “Non appena la tecnologia ci fornisce la capacita’ di fare qualcosa piu’ efficientemente, reagiamo alzando le aspettative che abbiamo su noi stessi e sugli altri”. In altre parole, “dobbiamo riuscire anche noi a fare di piu’ in minor tempo”.
Aggiungo che questa pressione appare ancor piu’ difficile da sostenere se consideriamo che usualmente gli strumenti tecnologici si limitano ad automatizzare solo una parte del compito: ad esempio, rendono possibile pubblicare un articolo on-line “in un solo click”, ma generare e combinare assieme delle buone idee da scrivere continua ad essere totalmente demandato al cervello dell’autore, quindi la pressione a pubblicare di piu’ e piu’ spesso grazie all’efficienza dello strumento tecnologico si traduce o in poverta’ di idee o in super-lavoro. Discorso analogo puo’ esser fatto per altri compiti.
Kabat-Zinn focalizza anche l’attenzione su come i media riempiono quelle che dovrebbero essere le pause: “Guardiamo la televisione e pensiamo di stare rilassandoci e rallentando, ma in realta’ e’ un bombardamento sensoriale aggiuntivo” (Randy Pausch piu’ recentemente e’ stato piu’ drastico su che cosa bisognerebbe fare con la televisione).
E’ interessante allora riaprire oggi l’impolverato libro Full-Catastrophe Living, dato alle stampe da Kabat-Zinn nell’Ottobre del 1989 (nell’epoca pre-Web, quando il luogo comune era che gli sviluppi tecnologici futuri ci avrebbero liberato dalle attivita’ tediose per lasciarci dedicare con calma ad attivita’ piacevoli e creative) e leggere quella che era la sua visione su cosa sarebbe successo: “Nel futuro, quando tutti avremo telefoni cellulari nelle nostre auto e li porteremo persino con i nostri corpi, quando avremo tutti computer portatili, posta elettronica, shopping elettronico, narrowcasting, televisioni intelligenti e robot personali [Ndr: beh, sono arrivate tutte tranne la robotica di massa], avremo un numero crescente di modi per essere sempre piu’ occupati e fare un numero crescente di cose simultaneamente, con aspettative su noi stessi che aumenteranno di conseguenza. Potremo portare avanti i nostri affari mentre guidiamo l’auto, potremo fare ginnastica mentre elaboriamo informazioni, leggeremo mentre guardiamo la televisione o avremo schermi con finestre multiple per seguire piu’ cose contemporaneamente. Saremo sempre connessi con il mondo. Ma saremo mai connessi con noi stessi?”.
Ironia della sorte, quasi vent’anni dopo aver scritto questa “profezia” sul mondo connesso, Kabat-Zinn e’ stato invitato da uno dei giganti che ha creato quel mondo, Google, a tenere un seminario sulla riduzione dello stress. Qui sotto trovate il video integrale del seminario, nel quale Kabat-Zinn ha colto l’occasione per scherzarci un po’ sopra con i dipendenti di Google: “Ho creato la mia clinica per la riduzione dello stress nel 1979. Se ci ripenso adesso mi dico: 1979? Ma che stress c’era? Oggi, grazie a voi di Google e persone come voi, lavoro di piu’ in un giorno di quanto facessi a quel tempo in un mese…”. Poi pero’ ritorna serio: “Ma questo ha un costo in termini di aspettative nei confronti miei e degli altri: la rivoluzione digitale ci ha catapultati in un mondo dove la giornata lavorativa non ha piu’ fine, dove la settimana lavorativa non ha piu’ fine… E questo porta alla dipendenza, al burnout, all’overdose del fare, ad una condizione in cui non attingi piu’ alla creativita’ che avevi…”.
© 2011 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore.