La profezia di Scott Jenson (Google): un’Apocalisse di Apps Zombie


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A che genere di scenari si stanno preparando le aziende leader delle piattaforme mobili? Per dirla con le parole di Scott Jenson (designer capo delle interfacce mobili a Google), nel prossimo futuro ci aspetta “l’Apocalisse delle App Zombie”.  Ma prima di spiegare in dettaglio cosa significa l’inquietante profezia (annunciata da Jenson venerdì scorso a Lisbona, nel suo discorso di chiusura della conferenza internazionale Mobile HCI 2010),  due parole sul profeta, che è stato protagonista della creazione di alcune interfacce particolarmente note ed usate negli ultimi 20 anni.

In particolare, Jenson fu membro del gruppo di interfaccia utente di Apple negli ultimi anni '80 ed uno dei designer dell’interfaccia del System 7 del Mac (oltre che di quella del meno noto Apple Newton). Dopo l’uscita da Apple, Jenson è stato designer freelance (il software più famoso a cui ha lavorato in tale ruolo è stato Netscape). Nel 2002, scrisse il libro “The Simplicity Shift: Innovative Design Tactics in a Corporate World”, basato sulla sua esperienza di design di interfacce in ambito aziendale. Per 3 anni, è stato poi direttore della progettazione di prodotto a Symbian. Infine, è ora a Google, in qualità di lead designer delle intefacce utente mobili.

E veniamo al discorso ascoltato venerdì. Nella prima parte, Jenson si è rivolto di più agli appassionati di aspetti tecnici, raccontando cosa è accaduto negli ultimi 3 anni nello sviluppo di applicazioni mobili. Nella seconda parte, ha invece delineato quello che i normali utenti vedranno prossimamente della rivoluzione in corso (cioè la sopracitata Zombie Apocalypse). Nel seguito, potete leggere separatamente la sintesi di una o l’altra delle due parti, a seconda dei vostri interessi.

Breve storia recente dello sviluppo di applicazioni mobili. Gli sviluppatori di applicazioni mobili – almeno fino a qualche anno fa – potevano essere divisi in due grandi fazioni: i sostenitori delle applicazioni native sviluppate per dispositivi specifici ed i propugnatori di forti Web standard all’interno del browser per favorire la realizzazione di applicazioni Web invece che native. Per usare le parole di Jenson: “Native Fan Boys” contro “Web Zealots”.  Poi, nell’Ottobre 2007, accade un fatto di rilievo: Apple lancia l’iPhone con un Web browser molto ben fatto ed i “Web Zealots” gioiscono perché porta acqua al mulino delle applicazioni Web.  Ma sei mesi dopo succede una cosa più importante ed è di nuovo Apple a cambiare le carte in tavola nel mondo mobile: viene introdotta la possibilità di scaricare App native sull’iPhone mediante il relativo Store e ciò sposta non poco l’ago della bilancia verso i  “Native Fan Boys”. E secondo Jenson questo va considerato un passaggio epocale, perchè realizzare Web App significava impazzire con un mix di varie tecnologie  (java, syncml, xhtml, wap, mms, sms ‘apps’,…) ma senza riuscire a ottenere qualcosa di veramente multipiattaforma (testuali parole: “chiunque vi dica che era capace di progettare una Web App una volta sola e poi adattarla facilmente a tutte le piattaforme mobili, non l’ha mai fatto!”). Inoltre, Jenson ritiene che il sistema di sviluppo di App native introdotto da Apple sia più semplice di quello di Symbian, su cui lavorava lui e sul quale ha l’impressione che fosse cresciuto per troppi passi successivi di inserimento di elementi incrementali che l’hanno reso complicato. Ora, nel 2010, la separazione tra Web App e Native App non è più drastica come un tempo ed esistono App che mescolano in diverse proporzioni una parte Web con una nativa (ad esempio, dei wrapper nativi che fanno girare un app web ma la arricchiscono con funzioni specifiche del dispositivo come il collegamento al GPS).

Lo scenario dell’Apocalisse Zombie incombente. Nel 2010, tutti possiamo notare che siamo in piena esplosione delle App (iPhone, Android, Blackberry, Windows,…). E lo spazio dei dispositivi sta diventando sempre più frammentato: anche dire Apple non significa più un dispositivo solo (ci sono App concepite per una generazione specifica dell’iPhone piuttosto che un’altra, ci sono App per l’iPad, …). Questo è un primo segnale della  Zombie Apocalypse e la stessa cosa accadrà anche con Android, Windows Mobile, Blackberry e Palm. Al crescendo apocalittico, contribuirà poi il prossimo avvento di un esercito di App per il mondo “embedded” (si puo’ infatti già costruire – con soli 20 dollari – una scheda per far girare Android al di fuori dei telefoni): ciò significa che, oltre a  scaricare App per i nostri telefonini, inizieremo a scaricare App per le nostre automobili, stereo, elettrodomestici e qualsiasi dispositivo elettronico che usiamo. Un esempio in tal senso che si manifesta già negli Stati Uniti riguarda Pandora (il servizio di internet Radio molto amato dagli americani): le persone non vogliono più avere Pandora solo sul PC o sul telefono, iniziano a chiedere di averlo anche nel televisore o nello stereo di casa come App .  Questo esempio suggerisce fra l’altro che nello scenario della App Zombie Apocalypse,  le App diventeranno più importanti dei dispositivi che possediamo.  Un effetto sull’utente dell’esplosione apocalittica delle App riguarderà il come si reperiscono, installano e disinstallano le App. Già oggi si nota che nei telefoni le persone installano continuamente App ed a un certo punto devono fare “app garbage collection” .  E dato che ora ogni compagnia aerea vuole avere la sua App, ogni catena di negozi vuol avere la sua App, le band musicali diventano App e tutto diventa un App, secondo Jenson non si può pretendere che sia responsabilità dell’utente trovarsi da solo le App all’interno dell’Apocalisse Zombie.  La sua idea è che vada introdotto il concetto di “on demand App”.  Un’idea che era stata pioneristicamente delineata nel 2001 attorno all’Ericsson Blip. I dispositivi del prossimo futuro secondo Jenson dovranno rilevare da soli ed in modo contestuale le App che potrebbero interessarci: ad esempio,  quando si entra in un negozio o si va a vedere un concerto il device riceve le segnalazioni delle App di rilievo (dal negozio o dal palco del concerto). Non si deve però interrompere o disturbare l’utente per segnalargli la disponibilità di App: se vuole, l’utente accede ad una funzionalità del telefono, che mostra la lista di App disponibili nel contesto in cui si trova e che non ha già installato sul dispositivo. Ad esempio, se si trova di fronte al Louvre ed accede alla lista gli potrà essere proposta l’App del Louvre, così come quella del Metro o di un ristorante vicino e sceglierà lui quale usare (la foto qui sotto illustra l'interfaccia che indica le App rilevate).

© 2010 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore.

 
New Google Android interface

  • sal |

    @luca
    beh quello che dici puo’ essere vero nel caso di native App (e.g. ho un applicazione fantastica che gira su IPhone ma non riesco a trovarne una per Android), ma con HTML5 e WebSocket la stessa WebApp girera’ su qualsiesi dispositivo elettronico dotato di browser o di OS browser like (e.g. Chromium)…
    una volta trovata la giusta applicazione la si potra’ usare dovunque
    il problema della ricerca della applicazione giusta rimarra’ certo, ma sara’ non piu’ ne meno che un problema di ricerca e su questo Google magari potra’ dire la sua

  • lucachittaro |

    @Pietro Zanarini: Jenson voleva dire che – come accade in quei film horror in cui ovunque vadano i protagonisti si trovano ad essere perseguitati da orde di Zombie affamati – cosi’ l’utente si trovera’ ad essere sommerso da numeri spropositati di App disponibili per ogni dispositivo elettronico che possiede.
    A meno che non si definiscano dei meccanismi per rendere piu’ facile il ritrovamento delle app giuste per un dato utente e contesto. La conclusione e’ quindi piu’ una “modest proposal” che un “coup de théâtre” (v. foto sopra con l’interfaccia proposta).

  • Pietro Zanarini |

    Non ho ben capito quale sarebbe questa “inquietante profezia”: la Pervasive Internet of Things già preconizzata vari anni fa? O forse anche Scott Jenson voleva concludere il convegno con un coup de théâtre come Chris Anderson (“The Web is Dead” 😉

  • lucachittaro |

    Si, in un certo senso puo’ essere vista anche come geolocalizzazione. Piu’ specificamente, Jenson si immagina che i luoghi trasmettano segnalazioni di App. Ad esempio, una sala da concerto segnala le App dei gruppi che suoneranno quel giorno quando le passiamo davanti. Ma il giorno dopo le App segnalate cambieranno con i nuovi gruppi. Quindi la segnalazione cambia con il contesto, non solo con il luogo geografico.
    Per quanto riguarda la domanda sulla personalizzazione, in generale e’ un tema di cui si parla da anni nel mondo mobile, v. ad esempio questo pezzo su Samsung:
    http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2008/01/come-cambierann.html
    o questo sull’operatore SK Telecom:
    http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/09/mobile-user-exp.html

  • Luca |

    In pratica Scott Jenson propone di aggiungere informazioni di geolocalizzazione alle app in modo da porterle poi proporre in base alla posizione dell’utente. A questo punto perché non applicarealle app i concetti di personalizzazione dei contenuti? Fin’ora non ho ancora sentito di nulla del genere in giro. A lei risulta?

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