Ansia e Paura: quali le differenze?

Paura ansiaAnsia e Paura sono diventate recentemente di interesse anche per chi si occupa del design di nuove tecnologie. Per fare un paio di esempi concreti, questi due stati emotivi sono centrali per progetti di ricerca completamente diversi nei quali sono coinvolto, quali l’uso dei serious game per l’addestramento a situazioni di emergenza (nel quale bisogna usare la tecnologia per creare anche gli stati emotivi di paura ed ansia che caratterizzano tali situazioni) oppure il design di app di rilassamento per smartphone (dove invece la tecnologia va al contrario usata per attenuare quegli stessi stati emotivi).

Ma le nozioni di base su queste emozioni sono indipendenti dall’uso o meno di tecnologie interattive. Una primissima domanda che può sorgere è "Che differenza c'è tra ansia e paura?". Va infatti detto che nei discorsi di ogni giorno tendiamo erroneamente ad usare le parole “paura” ed “ansia” in modi a volte equivalenti ed interscambiabili, probabilmente influenzati dal fatto che ci sono reali sovrapposizioni in cio’ che percepiamo come effetto delle due emozioni e dal fatto che in entrambe il tema centrale e’ quello del pericolo. Ma la ricerca ha messo in evidenza diversi aspetti che differenziano ansia e paura, associandole negli ultimi anni anche ad aree diverse del cervello – rispettivamente il nucleo centrale dell’amigdala per la paura ed il nucleo della stria terminale per l’ansia -  aiutandoci a comprenderle meglio.

Per definire schematicamente le principali differenze, si puo’ considerare l’impostazione seguita da Arne Öhman,  psicofisiologo dello svedese Karolinska Institutet ed autorità internazionale sul tema.

La paura. Questa emozione è scatenata da uno stimolo preciso e ben identificabile che ci raggiunge dal mondo esterno (ad esempio,  vedere un auto che improvvisamente invade la nostra corsia in senso opposto e ci si dirige contro).  Affrontiamo la paura con specifici comportamenti di attacco o fuga (ad es. una manovra disperata per evitare il pericolo dello scontro frontale nell’esempio precedente).  Ed anche quando la paura assume la forma patologica di fobia (ad esempio, l’aerofobia cioe’ la paura di volare in aereo), esistono delle azioni difensive specifiche che si possono intraprendere (ad esempio, usare un altro mezzo di trasporto) per evitare che l’emozione si manifesti.

L’ansia. Questa emozione non e’ contraddistinta dall’effettiva presenza di uno stimolo scatenante nel mondo esterno (ad esempio, puo’ essere scatenata dall’immaginare situazioni di pura fantasia che non si verificheranno mai o può anche manifestarsi senza che la persona riesca a identificare il pensiero scatenante). Abbiamo difficolta’ ad affrontarla con una reazione specifica: la natura del pericolo è meno chiara ed è più difficile formulare una precisa azione di difesa. Nei casi estremi, come il disturbo d’ansia generalizzato, la persona può anche non essere in grado di focalizzare un particolare pericolo che giustifichi il persistere dell’emozione negativa oppure può rimanere imprigionata in una rimuginazione ininterrotta su una serie di pericoli ipotetici diversi.  Alcuni autori definiscono l’ansia come una “paura non risolta”.

La paura come fenomeno naturale. La paura ha profonde origini evolutive ed è un’emozione con una funzione specifica ed utile nel favorire la sopravvivenza dei mammiferi, compresi gli esseri umani. Non e’ un caso che in modo del tutto automatico proviamo paura per quelle che erano le tipiche minacce alla sopravvivenza dei nostri lontani antenati (ad esempio, animali feroci o dotati di veleno mortale, burroni e grandi altezze, persone che manifestano aggressivita’, luoghi privi di vie di fuga come una grotta,…). I meccanismi automatici che scatenano la paura sono in gran parte inconsci e volti a mobilizzare in un istante le energie necessarie all’azione che evita il pericolo. Fra i vari esperimenti che hanno studiato i meccanismi inconsci della paura negli esseri umani, particolarmente suggestivi sono quelli che fanno uso di stimoli subliminali. Ad esempio, il sopracitato Arne Öhman assieme ai suoi colleghi hanno mostrato che alcune delle reazioni fisiologiche tipiche della paura (come l’aumento dell’attività delle ghiandole sudoripare ed il conseguente aumento della conduttanza cutanea) possono essere attivate anche con stimoli subliminali (ad es. un’immagine di un serpente mostrata a persone che hanno paura dei serpenti, ma per un tempo così breve da rendere impossibile di accorgersi coscientemente di averla vista).

Quando i “circuiti” della paura sbagliano. Dovendo scattare velocemente per mobilitare le nostre energie, i meccanismi della paura devono limitarsi ad un’analisi superficiale di quello che sta accadendo esternamente e possono quindi sbagliare sia in difetto (non riuscendo ad attivarsi di fronte ad un reale pericolo che ci sta davanti) o in eccesso (attivandosi di fronte ad uno stimolo innocuo). L’aspetto interessante e’ che l’evoluzione ha strutturato i nostri “circuiti cerebrali” in modo che favoriscano l’errore in eccesso: dopo tutto, un animale che non si accorge del predatore muore, mentre un animale che è più attivabile dagli eventi esterni migliora le sue chance di sopravvivenza, anche se ciò significa ogni tanto scambiare l’ombra di un innocuo albero per un feroce predatore. Resta da esplorare quanto, in un mondo dove gli stimoli che ci bombardano sono cresciuti a dismisura sia nel numero che nella complessità rispetto alla situazione dei nostri lontani antenati, il funzionamento di questi circuiti primitivi si adatti in modo opportuno al nuovo ambiente e quanto possa invece contribuire a creare “paure non risolte”.

© 2011 Luca Chittaro, Nova100 – Il Sole 24 Ore.

  • Francescop |

    Mi appello al rasoio di occam: perchè dovremmo ipotizzare meccanismi ignoti? Abbiamo solidissimi principi di apprendimento su cui basarci.
    Anche la ricerca di correlati fisiologici, non prendiamola come l’eldorado (“neuromania”): il valore euristico è quello di tutte le correlazioni.
    Complimenti per la chiarezza dell’articolo, as usual!

  • Paolo |

    Sempre interessanti le questioni che affronti, Luca; specie l’ultima che menzioni, cioe’ come oggi in condizioni di sovrabbondanza (diciamo pure *eccesso*) di input, e aggiungo anche con bassissima frequenza di situazioni di pericolo contingente, il nostro processamento di stimoli di allarme possa convogliarli o mutarli in qualcosa di piu’ debole e vago quale uno stato d’animo, come definirei l’ansia.
    Ma prima di affrontare simili domande, ne abbiamo da capire prima di piu’ fondamentali; ad esempio, l’occorrenza di paure inconsce, che si ascrivono intuitivamente a situazioni occorse ad antenati primitivi, come si sono realmente impresse nei loro geni, e poi trasmesse a noi? Processi di selezione non sembrano sufficiente a spiegare l’insorgere di fobie ‘classiche’, come insetti, luoghi chiusi etc, se davvero provengono dai predecessori. Occorrerebbe ipotizzare una sorta di “imprinting” del pericolo vissuto nel patrimonio genetico… meccanismi a tutt’oggi ignoti.
    Lo lasceremo scoprire a questi ‘psicofisiologi’. Parola che sinceramente mi incute un po’ di timore (o paura? 🙂

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